Roberto Carlo Russo
L’analisi dei fattori d’influsso ambientale sui modelli familiari e sociali, conferma la complessità di questo progetto di valutazione. Va subito premesso che, pur prestando notevole attenzione nell’individuare le caratteristiche dei modelli educativi, il risultato della loro azione può presentare diverse variabili da analizzare: la maggiore incidenza di un modello sull’altro; il rifiuto di un modello e la sua sostituzione (esempio, la sostituzione del modello paterno con quello di uno zio); l’identifica-zione sostitutiva di un modello mancante; il complesso gioco di dinamiche tra modelli con marcate differenze; la variabilità dei modelli nell’iter evolutivo; la pluralità dei modelli; i momenti evolutivi più significativi in cui intervengono i modelli; la carica vitale e la spinta alla conquista autonoma del bambino, che a volte può notevolmente ridimensionare l’effetto dei modelli.
Si assiste pertanto ad una complessa dinamica di influssi in cui le forze in gioco vanno accuratamente valutate sia come potenzialità d’effetto, sia come valutazione del periodo di maggiore significatività evolutiva. Tutti questi fattori verranno mediati, plasmati o subiti diversamente a seconda delle caratteristiche biologiche e psicologiche del bambino e delle sue potenzialità d’azione.
Pur tenendo conto di quanto sopra, specie per la necessità di una analisi plurifattoriale per l’obiettivo diagnostico-terapeutico, esporrò le caratteristiche dei singoli modelli, nella cui individuazione è stata posta particolare cura alle effettive caratteristiche dominanti del modello.
La ricerca (1993) è costituita da un campione di 43 casi, scelto su oltre 400 figure parentali che hanno richiesto la consultazione per problematiche neuropsichiatriche infantili. Sono state identificate dieci tipologie tramite un’analisi dei dati significativi.
Le prime tre tipologie costituiscono l’essenza del significato biologico di supporto e stimolo genitoriale all’evoluzione del bambino: lo stimolo gratificante, la presenza delle limitazioni (effetto frustrante), l’indispensabile apporto della carica d’amore.
Iperprotettivi
L’effetto principale di tale modello è la limitazione del processo di autonomia. In tale ambiente iperprotettivo il bambino non riesce a sostenere adeguatamente, perché impreparato, le immancabili frustrazioni incontrate nell’evoluzione e finisce con lo strutturare nel tempo una sfiducia nelle proprie potenzialità (sfiducia del sé) che si manifesterà nelle esperienze più impegnative, soprattutto se affrontate prive del supporto protettivo e di aiuto da parte delle figure adulte.
Nel sottogruppo tutelanti comprendo quei modelli che tendono a limitare gli ostacoli e le difficoltà esperenziali ed inoltre aiutano in conti-nuazione il bambino, non permettendo o limitando eccessivamente una libera ed autonoma attività di ricerca. Tali modelli assumono di norma atteggiamenti calmi e sereni nell’espletare il loro compito educativo, per cui non determinano cariche ansiogene, ma impostano una continua dipendenza dall’adulto per ogni nuova esperienza.
Questo atteggiamento dipendente limita e spesso preclude un migliore impegno motorio e cognitivo in tutte le situazioni più difficili, che vengono presentate come tali, anche se poi sistematicamente i genitori si sostituiscono, più o meno completamente, al bambino nella risoluzione del problema.
Nel sottogruppo anticipatori-ansiosi i modelli, oltre a presentare un evidente stato d’ansia nei confronti delle problematiche evolutive, per evitare la propria sensazione di malessere determinata dall’ansia, tendono a prevenire e risolvere tutte le possibili difficoltà, finendo col presentare al bambino una strada evolutiva facilitata, non corrispondente alla realtà biologica e sociale. In tale modo, oltre a non poter affrontare gli ostacoli posti dal confronto con la realtà, il bambino non riesce neppure a conoscerne l’esistenza; inoltre lo stato d’ansia del modello genera irrequietezza e disorientamento.
Nei modelli onniconcedenti viene soddisfatto ogni desiderio del bambino, con la conseguenza di una mancata impostazione di regole che genera un vissuto e una richiesta di tutto dovuto e tutto soddisfatto. Questa impostazione educativa, proiettata sulla continua gratificazione, limita notevolmente il confronto gratificazione-frustrazione con la conseguenza di un mancato adattamento sociale e mancato uso di strategie comporta-mentali intelligenti atte al superamento degli ostacoli.
I modelli supervalutanti permettono le conquiste autonome, ma danno sempre una valutazione positiva ed in eccesso rispetto alla realtà dei risultati raggiunti. Tale impostazione, nell’ambito familiare, si scontrerà violentemente con la realtà sociale, provocando nel bambino manifesta-zioni reattive o disturbi più gravi, per la mancata preparazione ad accettare sconfitte e valutazioni negative. L’onnipotenza tipica dei primi anni non riesce a risolversi, perché sostenuta dai modelli, ed essa trascina con sé l’individualismo più retrivo al processo di socializzazione.
In definitiva l’effetto dominante di questo primo gruppo di modelli è la limitazione del processo di autonomia; limitazione che tende a coercire la libertà di ricerca creativa del bambino e spesso a determinare disturbi dell’organizzazione motoria, cadute in alcuni settori cognitivi e sicura-mente il permanere di un certo grado di onnipotenza (a volte solo fantasticata), una riduzione dell’adattamento sociale, una costante scarsa fiducia del sé ogni qualvolta si presenti una situazione impegnativa.
Frustranti.
In questi modelli domina l’atteggiamento frustrante nel rapporto con il bambino, con la risultante di un carente o assente stimolo positivo nel sostegno al processo evolutivo.
Il primo sottogruppo è quello dei modelli svalutativi caratterizzati da un frequente, se non costante, atteggiamento negativo verso i risultati del bambino, spesso espresso al presentarsi del desiderio per l’azione. Quando tale modello svalutativo è prioritario all’azione, il significato comunicato al bambino è quello di essere incapace, a cui consegue un corrispondente vissuto, prima ancora che il bambino possa confrontarsi con la realtà. L’espressione tipica è: “te lo faccio io perché tu non sei capace“. Se l’atteggiamento negativo viene espresso sul risultato, rimane almeno al bambino la possibilità di dare un proprio valore all’azione, in contrap-posizione al valore negativo dato dal modello. Espressioni tipiche sono: “non sai fare niente“, “guarda che disastro“, “non va bene, è brutto, rifallo“. In ambedue i casi l’atteggiamento svalutativo limita e si oppone alla spinta evolutiva, inducendo un vissuto di incapacità non conforme alla realtà. Tale atteggiamento svalutativo contrasta con la spinta biologica verso una conquista sempre più autonoma. La dinamica di alternanza tra l’atteggiamento svalutativo e la spinta biologica può facilmente determi-nare, in individui con buona carica vitale, l’instaurarsi e lo strutturarsi di una instabilità psicomotoria (Russo, 1988).
I modelli rigidi impongono il rispetto di un complesso di regole inadeguate all’età del bambino, con un effetto castrante sulla libera creatività favorendo, per contro, la dipendenza e la sudditanza. È frequente in questi casi, in una prima fase evolutiva, un progressivo adattamento al modello (fatto che potrebbe essere confuso con una precoce strutturazione superegoica), mentre in fasi sucessive, specie nella latenza, sono frequenti le manifestazioni reattive ed oppositive.
Il sottogruppo despoti è tipicamente rappresentato dalla figura del padre-padrone o della madre-padrona, che impone un’obbedienza indiscussa, ma soprattutto non concede alcuna possibilità ad avere una propria idea, un proprio punto di vista e una propria possibilità d’essere.
Molto simile alle caratteristiche dei modelli despoti e frequentemente associato, è il modello violento che impone il suo volere con le punizioni corporali e con un linguaggio aggressivo e offensivo senza alcun rispetto per la personalità del bambino.
Questi ultimi due modelli determinano nel periodo psicomotorio e in quello della latenza un comportamento succube a cui facilmente seguiranno nell’adolescenza un comportamento di rivalsa con significato di ripudio verso il modello parentale e, a volte, manifestazioni e strutturazioni anti-sociali.
Anaffettivi.
Ne fanno parte quei modelli che non sentono un trasporto affettivo verso il figlio, ostacolando o impedendo quel processo fondamentale di aggancio del neonato alla nuova vita (attaccamento), tramite il significato di benessere sperimentato con l’adulto. Le manifestazioni di questi modelli potranno esprimersi con atteggiamenti anaffettivi parziali o totali, palesi o mascherati. Gli effetti sul bambino potranno portare verso strutturazioni autistiche, manifestazioni psicotiche, disarmonie della personalità (specie di tipo psicotico), borderline o strutture di tipo antisociale manife-ste o mascherate.
Immaturi.
Appartengono a questo gruppo tre categorie che, pur presentando la caratteristica comune dell’inadeguatezza educativa, hanno una buona carica affettiva. Si differenziano tra loro, a volte marcatamente, per gli effetti che determinano.
Gli infantili sono rappresentati da quei modelli poco o niente evoluti in senso adulto; oltre ad essere scarsamente rappresentativi per un adeguato sostegno evolutivo, spesso entrano in competizione con i figli nei confronti del proprio partner o di altri adulti. Rientrano con frequenza in questo sottogruppo figure parentali con insufficienza mentale non grave. L’effetto di questi modelli è principalmente la carente spinta all’autonomia, la dipendenza, l’intolleranza alle frustrazioni e problemi di adat-tamento sociale.
Gli insicuri inviano spesso messaggi contradditori o in opposizione a indirizzi precedenti, determinando nel bambino ansia, facile irrequitezza, disorientamento e difficoltà o incapacità di valutazione della scelta comportamentale più adeguata; nell’ambito sociale si pongono spesso nel ruolo di gregari.
I modelli superficiali tendono a presentare una realtà semplificata ed a banalizzare le problematiche evolutive ed esperenziali. Gli effetti di questi modelli tendono a manifestarsi più frequentemente nell’età di latenza, periodo in cui viene richiesta una maggiore capacità di raziona-lizzazione delle problematiche e delle esperienze, per una scelta comporta-mentale adeguata al sociale. Sono presenti difficoltà di comprensione delle dinamiche relazionali, superficialità di pensiero e semplicità dei processi intellettivi.
È facile il riscontro di modelli che assumono in sé le tre tipologie descritte, formulando un quadro complesso e variabile per il predominare di una tipologia sulle altre. La risultante può essere una ricca serie di sfumature.
Ambigui.
Fanno parte di questo gruppo quei modelli che inviano messaggi di duplice significato e contradditori.
Nel sottogruppo ambivalenti i modelli si manifestano palesemente con un rapporto frequentemente contraddittorio di amore-odio, di ricerca-rifiuto, di protezione-disinteresse, che induce precocemente nel bambino confusione, disorientamento, insicurezza affettiva e frequenti risposte reattive con comportamenti spesso simili al modello.
Il tipo maschera assume costantemente e più o meno coscientemente, un atteggiamento camuffante la realtà del proprio vissuto. È l’equivalente del «buon viso a cattiva sorte» e con tale significato il modello imposta un comportamento apparentemente sintonico con le necessità affettive ed evolutive del bambino, ma di fatto mascherante una profonda difficoltà ad accettare ed amare il figlio.
Le risposte a tale modello sono simili alla situazione precedente, ma tendono a comparire più tardivamente con manifestazioni reattive nel bambino che spesso si acuiscono verso la tarda latenza e preadolescenza.
Nel sottogruppo comportamento di facciata la caratteristica è di ostentare nei confronti dell’ambiente sociale un comportamento artificioso, falso e programmato per essere valutati ottimamente e non incorrere in alcun giudizio negativo. Facilmente questi modelli vivono gli altri, più o meno coscientemente, come perenne potenziale minaccia e si tutelano con un comportamento di facciata tale da inviare messaggi di non contrasto, di rispetto, di perfezione e a volte di sudditanza. Per contro, il comportamento di tale modello, all’interno del nucleo familiare, risulta essere corrispondente alla realtà emotivo-affettiva del nucleo. Questa duplicità del modello non è consona al bambino, specie nel periodo psicomotorio in cui non vi è dissociazione tra il sentito e l’agito; in tal modo riceve un messaggio confusivo su una realtà che non può essere concepita divisa.
L’effetto distorsivo risulta molto limitato se tale comportamento di facciata viene impostato nel periodo di latenza, in quanto in questo perio-do è il bambino stesso che effettua una scelta comportamentale adattata al sociale, ma nel rispetto anche della propria personalità e progettualità. Va considerato, però, che è ben difficile che un tale modello sia attuato solo nel periodo di latenza.
Falsificanti la realtà.
I modelli di questo gruppo presentano al bambino una realtà del tutto parziale ed estremizzata; è come se l’innumerevole serie di sfumature della realtà venisse ridotta ad uno dei suoi estremi.
Nel tipo eccesso di positività i modelli selezionano e reinterpretano per il bambino in senso positivo gli svariati aspetti del reale, mettendo in risalto solo i significati di benessere e negando o trasformando quelli di malessere. L’ambiente familiare diventa il luogo di massimo benessere, dove viene controllato ed inibito qualsiasi impulso reattivo e, in particolare, le manifestazioni aggressive.
L’ambiente sociale viene presentato solo nei suoi aspetti positivi. In questi ambienti educativi è di frequente riscontro l’instaurarsi di manife-stazioni psicosomatiche e l’impostazione d’eccesso di fiducia nei confronti dell’altro con le inevitabili e inaspettate frustrazioni e delusioni.
Nel tipo eccesso di negatività i modelli svolgono il ruolo opposto e tutto diventa pericoloso: l’ambiente sociale viene presentato costantemente oppositivo e minaccioso; l’unico luogo di protezione e di benessere viene individuato nella famiglia.
In tale tipo di educazione si instaura progressivamente nel bambino la diffidenza verso l’altro, determinando così la mancanza di amicizie ed una marcata difficoltà nei rapporti.
Ambedue i modelli possono essere affettivi e impostano queste tipologie educative al fine di proteggere l’individuo.
Patologia psichiatrica.
Risulta qui impossibile, per motivi di spazio, parlare delle diverse patologie psichiatriche e delle innumerevoli variabili. Va ricordato che la specifica patologia psichiatrica non esclude la possibilità di riscontro di altri gruppi di modelli, dove le caratteristiche personali si intrecciano e si plasmano alle caratteristiche della patologia psichiatrica. Nel gruppo ritroviamo i tossicodipendenti, gli asociali, i nevrotici, gli psicotici, le insufficienze mentali gravi e altre patologie psichiatriche.
Superinvestimento razionale.
Fanno parte di questo gruppo quei modelli che, per desiderio narcisistico dei genitori, per tradizione familiare o per la scoperta di una particolare abilità del bambino, stimolano e supportano il figlio ad esercitare sempre più quel dato interesse al fine di renderlo particolarmente dotato rispetto ai coetanei e farlo diventare un piccolo genio. L’esempio tipico può essere rappresentato da Mozart.
È di frequente riscontro specie nel terzo-quarto anno, l’evidenziarsi di un particolare interesse nel bambino ( esempio: il disegno, l’uso di uno strumento musicale, la danza, ecc.), che, pur rimanendo elettivo, si integra con altre motivazioni, ampliando le esperienze e permettendo di vivere le fasi evolutive in modo consono alla propria età cronologica.
Alcuni genitori intravedono in una particolare abilità del bambino un futuro successo per il figlio e, con le opportune gratificazioni, lo spingono verso una progressiva selezione d’interessi, orientata sempre più a un frequente esercizio e studio della abilità precocemente evidenziata. In tal modo viene coartata la vastità e variabilità del mondo esperienziale infantile e il bambino finisce con il vivere alle dipendenze della sua abilità. Ne risulta un grande superdotato che ha sacrificato l’infanzia alla sua geniale espressività artistica.
Le manifestazioni comportamentali in tali bambini possono essere diverse: scontrose, egocentriche, arroganti, capricciose, despote, a volte possono apparire normali per l’assunzione di un comportamento di facciata, ma sicuramente sempre caratterizzate da una personalità molto problematica e a grave rischio psicopatologico.
Rapporti genitoriali
Oltre a valutare le caratteristiche dei singoli modelli, va valutato il rapporto tra le due figure genitoriali e le eventuali figure parentali con particolare ruolo educativo.
Il sottogruppo inversione dei ruoli non va confuso con l’assunzione di mansioni pratiche da parte del padre, normalmente svolte dalla madre o viceversa, ma si riferisce a quella coppia genitoriale in cui il padre assume le funzioni di figura materna e la madre quella di figura paterna. Il padre diventa il grande consolatore, donatore d’amore incondizionato e colui che sempre comprende; la madre colei che imposta le regole, richiama ai doveri e somministra le punizioni. Vengono così sovvertite le condizioni naturali. Il modello biologico femminile o maschile, geneticamente predisposto per il comportamento specie-specifico, si contrappone al modello del partner che ne assume il ruolo educativo. Lo scambio dei ruoli, dato che i messaggi biologici della sessualità tendono a permanere e a svolgere il loro effetto, potrebbe creare problemi d’identificazione nel bambino, con le relative ripercussioni nella fase della latenza e dell’adolescenza. Nell’inversione dei ruoli è frequente riscontrare nella figura materna atteggiamenti frustranti verso il bambino e nella figura paterna atteggiamenti iperprotettivi.
Nel modello contrasto educativo le figure genitoriali sono costantemente di pareri diversi nel rapporto educativo ed esprimono palesemente tale contrasto, spesso con litigi anche alla presenza del figlio. L’effetto che si determina nel bambino è di insicurezza, difficoltà, impossibilità di scelta, stati d’ansia, manifestazioni reattive, appoggio ad un genitore e opposizione verso l’altro. In fase adolescenziale può verificarsi l’abbandono del nucleo familiare.
Ruoli genitoriali
La madre svolge una funzione essenziale: l’attaccamento del bambino alla nuova vita viene mediato dalla sua capacità d’essere tutelante, disponibile alle sue necessità biologiche, stimolante per l’evoluzione, donatrice di amore incondizionato, comprensiva e consolatrice per le inevitabili frustrazioni, ma anche modello di riferimento per il rispetto del vivere familiare e sociale. La madre rappresenta (Bowlby, 1951-1969) la base sicura a cui fare ritorno nei momenti di bisogno. La madre dedica molto tempo al figlio durante lo sviluppo e anche successivamente; con lei il figlio si confida facilmente, specie per problemi affettivi, rappresenta sempre la base sicura anche nell’età adulta, se il rapporto madre-figlio è stato significativo nei periodi precedenti. La madre rappresenta la continuità del periodo gravidico, è l’essenza stessa della vita, il suo valore e la positività nel rapporto d’amore sono il tramite per l’accettazione del confronto con le future esperienze.
Il legame specifico di attaccamento alla madre deve verificarsi entro un periodo sensibile rappresentato dai primi due anni (Bornstein, 1987), se non si verifica preclude la possibilità d’instaurare legami affettivi.
Nelle diverse culture la madre appare una figura stabile nel suo significato fondamentale di attaccamento e di tutela, mentre il padre connota maggiormente le caratteristiche degli usi e costumi della società d’appartenenza e ne rappresenta il modello di riferimento sociale.
Il padre svolge un ruolo in parte simile alla madre (donatore d’amore, di protezione, di stimolo), ma complementare e importante per lo sviluppo sociale. È la figura che si affianca al binomio madre-neonato, lo accetta e lo protegge, in seguito, specie a partire dall’anno, assume il proprio ruolo di compagno di gioco, insegna il rispetto delle regole ed è fonte di protezione di tutto il nucleo familiare.
Venuti e Giusti (1996) in studi svolti sui rapporti dei bambini con i rispettivi genitori, hanno notato che la madre occupa più tempo del padre nelle attività di gioco con i figli, ma i figli con i padri prediligono giochi di movimento, di lotta corporea, mentre con la madre preferiscono attività più tranquille.
Borghi, Cavenago, Gallone, Martinico, Moiraghi, Vaghi, Viganò (2001) hanno condotto un’indagine tramite questionario, sulla frequenza della partecipazione dei genitori ai giochi dei loro figli (età compresa tra i tre e i sei anni). Sono state valutate le schede, relative a 502 bambini, che hanno indagato anche il tipo di gioco e il tempo trascorso per il gioco assieme ai rispettivi genitori. Il tipo di giochi presi in considerazione sono: corporei, di movimento, educativi, costruttivi, simbolici e competitivi. Tutti i tipi di giochi sono stati praticati dai due genitori, ma le madri giocano più tempo rispetto ai padri, e preferiscono giochi educativi e costruttivi, mentre i padri preferiscono i giochi corporei e competitivi. Il tempo di partecipazione ai giochi simbolici da parte di ambedue i genitori è stato scarso, ma è risultata nettamente prevalente la partecipazione materna. La partecipazione dei padri durante il sabato e la domenica è stata alta. Il lavoro dei genitori ha limitato molto la partecipazione ai giochi che è stata prevalentemente concentrata nel fine settimana.
La parziale o totale carenza di una figura genitoriale modifica gli effetti dei modelli. La carenza parziale del padre, frequentemente assente da casa, che vede il figlio solo per qualche giorno al mese, potrebbe a volte determinare la sostituzione della figura assente con altra figura presa a prestito e investita in senso affettivo. L’assenza totale di una figura tende ad essere sostituita con un’altra. Le necessità lavorative di ambedue i genitori, spesso a partire da pochi mesi di vita, creano la necessità di delegare l’accudimento alle educatrici degli asili nido, alla nonna o alla baby sitter, impostando precocemente una alternanza dei modelli che potrebbe determinare anche seri problemi, quali: pianto frequente, disturbi del sonno, inappetenza, irritabilità, atteggiamenti palesi di rifiuto, ritiro evolutivo. Tali situazioni tendono a correlarsi alla presenza e alternanza di modelli molto diversi tra loro, specie se di significato decisamente opposto.
Nella nostra attuale società i ruoli dei genitori si sono modificati rispetto ad un tempo e, in particolare, non sono più rigidi nell’espletamento delle mansioni domestiche e nella cura dei figli.
La necessità economica dell’apporto di due stipendi in famiglia ha determinato la diminuzione netta delle gravidanze, la necessità di una delega precoce alla cura del figlio, la diminuzione dei mesi di allatta-mento. L’assunzione di un nuovo ruolo all’esterno della famiglia ha prodotto anche un’affermazione della donna nei confronti del potere maschile, l’occupazione d’importanti ruoli sociali nei diversi campi: dalla politica all’industria, dalla medicina all’avvocatura, dalle scienze alle affermazioni sportive. È il nuovo ruolo della donna in ambito lavorativo che ha determinato il sostanziale cambiamento, negli ultimi quarant’anni, della struttura e dell’organizzazione familiare e sociale.
Le convivenze, le separazioni, il costituirsi di nuovi nuclei, creano nuovi aggiustamenti familiari, spesso con una progressiva perdita del sostegno e dei consigli tramandati dalle nonne alle madri, favorita dalla lontananza dei genitori dal nucleo familiare originario.
Tuttavia, nonostante queste sostanziali modifiche, la madre è la principale artefice del funzionamento familiare; è soprattutto lei che influenza il ruolo sociale della sessualità nella prole, è il collante dei membri del nucleo, è l’espressione vitale della famiglia. Al padre spetta il ruolo di virilità, di difesa del nucleo, di saggia rappresentanza delle regole familiari e di interpretazione delle regole sociali.
La madre è intesa come mediatore della vita affettiva, il padre è inteso come mediatore della vita sociale, ma questo non esclude la presenza di ambedue le caratteristiche nelle figure genitoriali. La famiglia rappresenta, in dimensioni ridotte e affettivamente supportate, un ambiente di vita completo per il bambino, tutto il suo mondo, che dovrà preparare e facilitare il più arduo inserimento sociale.
La famiglia rimarrà un posto speciale a cui periodicamente ritornare per rassicurarsi e ricevere nuove forze per la continuità nel vivere nel sociale.
La realtà dell’attuale vita sociale, favorisce l’instaurarsi di fattori disgreganti la famiglia: la carenza dei ruoli, il prevaricare dell’uno sull’altro, le deleghe educative, gli stress individuali, le inversioni dei ruoli, il contrasto educativo, le separazioni, la presenza di nuovi partner. La crisi della famiglia si ripercuote nella società e destabilizza i principi fondamentali del vivere sociale che per primi vengono educati e vissuti all’interno del microcosmo sociale rappresentato dalla famiglia.
Oltre ai fattori espliciti menzionati, non possono essere ignorate eventuali presenze nei modelli di conflitti intrapsichici che tendono a esprimersi in modo manifesto o mascherato.
A tale proposito Spiegel (1969) descrive casi di figli trattati come genitori e genitori trattati come figli. L’armonia dei ruoli e la reciproca accettazione e collaborazione nelle mansioni e nelle funzioni del nucleo familiare, pur nelle diverse organizzazioni sociali, genera soddisfazione, auto e reciproca stima nei genitori producendo il clima più favorevole per un sano sviluppo dell’infanzia.
Tratto da: Roberto Carlo Russo, Sviluppo neuropsicologico del bambino
Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2002
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