Il significato dell’ intervento psicomotorio
Roberto Carlo Russo
Tratto in parte da: R.C. Russo. Psicomotricità. C.E.A., Milano, Cap.4, pp. 163-165, 2018
La diagnosi e la terapia vanno affrontate nell’ottica del problema bambino-ambiente, l’intervento infantile impostato in un’ottica centrata esclusivamente sul bambino ha fatto il suo tempo dal punto di vista scientifico (Bowoby, Greenspan, Siegel, Stern, Cramer, Palacio-Espasa e tanti altri), ma purtroppo ancora troppo disatteso nell’applicazione pratica.
L’intervento psicomotorio, pur nel rispetto del bisogno terapeutico del bambino, andrà condotto in stretta correlazione con la situazione ambientale familiare e sociale, con l’età, con il tipo delle esperienze intercorse, nel rispetto delle potenzialità, del vissuto e delle motivazioni del bambino.
Tra il processo maturativo, le conoscenze e il vissuto delle esperienze vi è una interdipendenza, a tal punto che una carenza dell’uno determina un conseguenziale riflesso nell’altro; un danno neurologico può limitare le capacità motorie e cognitive e condizionare vissuti corrispondenti alle limitazioni, con il risultato di frustrazioni nei rapporti con l’ambiente, di carente potenzialità di sviluppo, di facilitazioni dell’instaurarsi di meccanismi difensivi e di dipendenza, di limitazione dell’autonomia e di comportamenti facilmente incistati in stereotipi.
Il supporto e l’aiuto educativo ai modelli permetterà di capire le difficoltà, accettare alcuni limiti, adattarsi alle nuove esigenze evolutive e innestare opportuni stimoli.
Nei disturbi relazionali, le problematiche di rapporto investiranno le modalità d’essere dell’individuo e si potranno facilmente riflettere sulla espressività motoria e sulle procedure d’approccio cognitivo. In tali casi la situazione sarà ancora più complessa, per il trattamento del problema, in quanto i modelli, prevalentemente responsabili, richiederanno un comportamento adeguato alle potenzialità, ma che non potrà verificarsi a causa del disturbo relazionale.
L’intervento psicomotorio dovrà permettere l’elaborazione delle problematiche relazionali, nel rispetto della globalità dell’essere, sia nei suoi aspetti motori-cognitivi-relazionali, sia nel rispetto delle caratteristiche personali e motivazionali del bambino.
L’obiettivo dell’intervento è quello di favorire una evoluzione che si basi sul principio di armonizzare tra loro le diverse competenze, in modo tale che il vissuto dell’individuo sia ad esse proporzionale e che il processo di autonomia possa procedere nel rispetto e adattamento al vivere sociale. Si dovrà tenere in debito conto la potenzialità recettiva della terapia in rapporto all’età del soggetto, alla motivazione del bambino, alla disponibilità dell’ambiente a collaborare, affinché sia realizzabile il tentativo di ricostruire ed adattare una struttura della personalità sempre più orientata verso una norma.
Per adempiere a queste premesse, la terapia dovrà consentire al bambino di vivere concretamente le problematiche al fine di ricostruire, in modo migliorativo, quelle esperienze e relativi vissuti delle fasi evolutive in cui sono sorte le problematiche o di stimolare lo sviluppo delle competenze non ancora acquisite (Russo, 1988).
Le dinamiche terapeutiche verranno vissute in uno spazio ed in un tempo corporeamente agito dal paziente e dal terapista per favorire la massima pregnanza di ogni attività esperita.
Il raggiungimento di questi obiettivi richiederà l’impostazione di un setting specifico basato sull’agito a mediazione corporea e una figura terapeutica all’uopo preparata.
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Il Sintomo e la sindrome Maldestrezza
Roberto Carlo Russo
Pubblicato in:
- Russo R.C. – La diagnosi in Psicomotricità. (1986) CEA, Milano, , pp. 21-23.
- Russo R.C. – Diagnosi, setting e progetto in terapia psicomotoria. (1988) CEA, Milano, pp. 38-41.
- Russo R.C. – Diagnosi e terapia psicomotoria. (2000) CEA, Milano, pp. 102-104.
Nel corso evolutivo l’apprendimento di nuovi schemi motori, assume il significato di rendere sempre più vantaggiosa e competitiva la propria attività. Per raggiungere questo obiettivo l’organizzazione dello schema deve essere ritrascritta con nuovi collegamenti ad altre strutture, nuovi processi inibitori, nuovi adattamenti posturo-cinetici e la combinazione sequenziale di schemi semplici tra loro adattati ed armonizzati in uno schema più complesso che renderà più specifico e vantaggioso il risultato dell’azione.
Per procedere in tale senso necessita una progressione evolutiva delle attività motorie.
Il coordinamento è il primo processo maturativo dell’atto motorio che consiste in una progressiva regolazione tonico-dinamica tra i muscoli agonisti e antagonisti dei diversi segmenti corporei, interessati per quel dato movimento, per realizzare una corretta organizzazione spaziale dell’atto intenzionale. Il bambino, nella fase di apprendimento di quel dato schema motorio, lo ripete numerose volte anche nei giorni successivi fino ad ottenere il risultato ritenuto da lui ottimale in rapporto al desiderio. Nelle prime sperimentazioni l’atto è insicuro, male organizzato in senso temporo-spaziale, ora con momenti lenti, ora bruschi, ma la ripetizione frequente delle prove migliora il risultato e permette il progressivo perfezionamento dello schema motorio in cui il bambino si è esercitato.
L’inibizione alla diffusione dello stimolo ad altre parti corporee è il processo successivo di lunga maturazione nel percorso evolutivo. I primi atti motori intenzionali tendono a manifestarsi con una partecipazione somatica globale, dovuta alla presenza di ipertoni involontari (sincinesie) più o meno diffusi a parti corporee non impegnate nel comando motorio. Le sincinesie possono essere di tipo tonico o imitativo, diffuse o limitate ad alcune parti, assiali, prossimali o distali.
L’integrazione somatica è il processo maturativo che armonizza e rende ottimale l’azione intenzionale. La limitazione della diffusione è fondamentale per l’organizzazione di schemi motori complessi che impegnino parti somatiche non direttamente coinvolte nell’esecuzione dell’atto programmato, queste parti somatiche svolgono funzioni di aiuto e di rinforzo (sinergismi d’utilità) all’atto motorio intenzionale. Un esempio tipico è l’adattamento del tronco, degli arti inferiori e dell’arto superiore controlaterale all’arto che lancia con forza un oggetto. Questi sinergismi richiedono organizzazioni spaziali e tempi esecutivi tra loro integrati in una armonia somatica finalizzata ad ottenere il migliore risultato possibile. L’innesto dei vari sinergismi avviene con progressione nel corso evolutivo e dipende dalla motivazione, dalla qualità e quantità di esperienze. La comparsa dei sinergismi è di norma automatica, a meno che non ci sia una istruzione come avviene nelle attività sportive.
Oltre a questo tipo d’integrazione somatica, che potremmo chiamarla integrazione d’aiuto e di rinforzo ad un atto segmentario significativo per un’azione intenzionale, vanno presi in considerazione quei processi d’integrazione tra due o più parti corporee che svolgono azioni tra loro differenziate, ma giustamente tra loro combinate per realizzare un’azione, ad esempio avvitare e contemporaneamente svitare con le due mani, lavoro a maglia, uso combinato di coltello e forchetta, ecc..; questa potremmo chiamarlo «integrazione di collaborazione».
Si deve a Rosano e Galletti (1980) il richiamo dell’attenzione e l’approfondimento della ricerca sull’organizzazione dell’atto motorio. Gli autori esaminando la variabilità evolutiva degli schemi dell’atto motorio, hanno riscontrato una ricorrenza di certe disfunzioni ed hanno confermato i già noti disturbi paratonici (tipici della debilità motoria), disturbi dell’attenzione (tipici dell’instabilità psicomotoria) e hanno proposto il riconoscimento di una nuova disfunzione: disturbi del processo d’integrazione dei segmenti corporei per una globalità funzionale dell’atto. A questo tipo di disfunzione hanno proposto il termine maldestrezza e la possibilità di riconoscere l’esistenza di una
entità nosografica ben definita e inquadrabile nella sindrome maldestrezza.
La diagnosi sindromica si basa su una organizzazione motoria tipica con l’esclusione di ogni altro disturbo motorio; gli schemi motori di base sono indenni e gli atti motori semplici, non richiedenti un processo d’integrazione somatica, sono adeguati al fine. Il nucleo patogenetico è costituito dal deficit di adattamento integrativo di tutto il soma o di alcune parti all’attività motoria intenzionalmente eseguita da un segmento corporeo o dal deficit d’integrazione tra i due emisomi o tra gli arti superiori e gli inferiori o tra gli arti ed il tronco o essere un deficit globale. La causa più probabile del deficit può essere ipotizzata in una difficoltà di progressione evolutiva dei processi inibitori, tale da vanificare o limitare il processo d’integrazione somatica.
Precedentemente il termine «maldestrezza» è entrato nel nostro patrimonio linguistico per significare un uso inadeguato della mano dominante o una inadeguatezza generica nell’esecuzione corretta del movimento; spesso viene usato per indicare un non ben precisato disturbo del movimento. Anche gli autori francesi usano il termine maladresse per un disturbo generico dell’attività motoria sostenuta da cause diverse. Wallon, in un suo lavoro del 1928, scrive che il sintomo clinico «maldestrezza» può essere sostenuto da cinque diverse cause: insufficienza cerebellare, deficit del corpo striato, difficoltà nell’escludere l’intervento rappresentativo dell’atto durante l’esecuzione di acquisizione già automatizzata del medesimo, un disturbo pratto-gnosico o uno stato esaltato di emotività tipico di fasi evolutive precoci.
Oggi, a seguito delle maggiori conoscenze, non è più possibile accettare l’uso confusivo e generico dei termini, pertanto è auspicabile che venga riconosciuta l’importanza di un uso corretto dei termini, molti dei quali sono riconducibili ad una disfunzione neurologica.
Oltre alla sindrome maldestrezza è riconoscibile anche il sintomo maldestrezza che può essere presente in diverse altre sindromi.
La sintomatologia è diversa a seconda dei casi.
Sintomi dipendenti da deficit d’integrazione tra i due emisomi (Rosano e Galletti). Vi è la difficoltà, a volte l’impossibilità, d’integrare i segmenti controlaterali a quelli che stanno svolgendo un’azione. Le modalità di adattamento spaziale vengono organizzate come se l’individuo vivesse due emispazi ognuno gestito dal corrispondente emicorpo; i sintomi più frequenti sono: difficoltà a saltare su un piede solo, a calciare la palla, a salire e scendere le scale con alternanza dei piedi, ad eseguire dei movimenti asincroni con i due piedi, all’imitazione di gesti asimmetrici, al palleggio alternato con le due mani, ad eseguire qualsiasi lavoro che richieda l’uso contemporaneo e differenziato delle due mani, a riprodurre disegni asimmetrici, a tracciare linee orizzontali che impegnino i due emispazi di un foglio grande.
Sintomi dipendenti da deficit d’integrazione tra arti superiori ed inferiori (cingolo scapolare e cingolo pelvico) (Rosano e Galletti) Sono compromesse tutte quelle attività motorie globali che richiedono una partecipazione sinergica e differenziata dei quattro arti; i sintomi più caratteristici sono:
- carenza e aritmia dei movimenti pendolari degli arti superiori durante la marcia e la corsa,
- scadente adattamento sinergico degli arti superiori durante il salto e il calcio della palla,
- marcia a carponi eseguita lentamente e con movimenti aritmici,
- difficoltà al superamento di ostacoli che impegnano l’uso contemporaneo e differenziato dei quattro arti.
Queste interessanti ricerche mi hanno stimolato una revisione della mia casistica che ha permesso d’individuare alcuni quadri sindromici rapportabili alla sindrome maldestrezza descritta da Rosano e Galletti. Approfondendo gli studi (1981-1990) ho potuto osservare che in alcuni casi è presente anche una scarsa adattabilità del tronco nei cambiamenti di postura e nei movimenti globali del soma, tale da determinare una carenza globale del processo d’integrazione somatica. Quest’ultima tipologia presenta una frequenza decisamente maggiore rispetto alle forme precedentemente descritte. Per tale motivo ho proposto il riconoscimento di una tipologia da deficit globale del processo d’integrazione somatica.
Sintomi dipendenti dal deficit d’integrazione globale (Russo, 1986). Le carenze più evidenti si riscontrano nella corsa, nel salto, nei passaggi posturali, nella marcia carponi, nel superamento degli ostacoli, nel calcio e nel lancio della palla. Il tronco presenta difficoltà adattative rendendo precaria l’azione degli arti che presentano, diversamente espressi, anche sintomi tipici del disturbo tra i due emisomi e tra i due cingoli. Nei casi meno compromessi possono essere presenti tentativi d’integrazione somatica, ma con risultati che compromettono l’economia e l’armonia dell’atto motorio ed a volte anche la sua validità. Negli individui con maldestrezza globale nella maggior parte dei casi non si evidenziano specifiche problematiche relazionali nel periodo psicomotorio. Nell’evoluzione vi è una lenta e parziale compensazione del deficit, ma si evidenzia progressiva scarsa o assente disponibilità ad attività ginniche e sportive ed una tendenza di base ad esporsi poco nel gruppo di coetanei in attività motorie complesse, atteggiamento imputabile ad una progressiva presa di coscienza del proprio deficit.
Nella sindrome le funzioni psichiche superiori non sono compromesse e così pure la conoscenza grossolana del proprio modello corporeo statico e dinamico; per contro nella forma da deficitd’integrazione degli emisomi si riscontra una carente organizzazione orientativa del proprio corpo nello spazio, un uso prevalente di prescelti schemi motori per determinate situazioni e una scarsa possibilità di immediata scelta adattativa al variare delle situazioni che richiedono complesse e globali attività motorie. In particolare nel deficit tra i due emisomi, questi vengono agiti negli emispazi omologhi, ritardando la mancata sintesi in uno spazio unico È ipotizzabile che questa duplice dualità spaziale e corporea renda più complessi i processi di sintesi spaziali e simboliche.
I disturbi d’integrazione tra i due emisomi, tra i due cingoli e tra il tronco ed i segmenti distali, possono presentarsi singolarmente o variamente fra loro combinati.
La sindrome da deficit d’integrazione è poco frequente e tra tutte le forme di maldestrezza quella tra i due emisomi è rara. Per quest’ultima in tre casi ho riscontrato per il disegno l’uso della mano sinistra nell’emispazio sinistro del foglio e la destra nell’emispazio destro del foglio. Il sintomo maldestrezza e di frequente riscontro in diverse sindromi e sempre presente nella sindrome da Insufficiente Inibizione Motoria.
La terapia
Nel rispetto del setting e dell’impostazione psicomotoria, dovrà prevedere obiettivi diversi a seconda del defict integrativo, ma il principio sarà sempre quello della conquista delle capacità sinergiche della globalità corporea nelle attività motorie complesse.
Nel deficit integrativo tra i due emisomi dovrà essere dato ampio spazio, nei primi mesi di terapia e usufruendo di tecniche di rilassamento, alla presa di coscienza corporea in diverse posture prima simmetriche e successivamente asimmetriche. Questo lavoro preliminare permette il rafforzamento della percezione contemporanea dei due emisomi e prepara alla disponibilità attentiva all’uso di una globalità corporea.
Verranno in seguito richiesti atti motori segmentari simmetrici, limitati ad un arto superiore o inferiore, eseguiti da un solo lato e alternati, con pause di qualche secondo, ai medesimi atti espletati col segmento omonimo controlaterale. In progressione verrà aumentata la complessità dell’atto motorio. In tempi successivi la pausa verrà diminuita fino ad essere annullata in modo da realizzare movimenti simmetrici alternati, prima semplici e poi più complessi.
Raggiunta una sufficiente armonia in questo lavoro, sia per gli arti superiori che per gli arti inferiori, si potrà iniziare, con la medesima progressione sopra accennata, a proporre movimenti asimmetrici con due arti omologhi, prima in alternanza e successivamente in contemporanea.
L’esecuzione di queste attività dovranno essere svolte in posture privilegiate (supina o seduta) che non impegnino in toto il corpo e pertanto non richiedano l’intervento contemporaneo di funzioni complesse (esempio: l’antigravitazionale) da integrare con gli atti intenzionali.
La fase finale dell’intervento sarà costituita dall’obiettivo di favorire l’armonizzazione dei due emisomi in movimenti globali di tutto il corpo. Potranno essere prese in considerazione le seguenti attività: la deambulazione e la corsa per la presenza ed il ritmo dei movimenti sinergici pendolari degli arti superiori, il saltellare su un piede solo per l’implicazione differenziata dell’emisoma controlaterale, il lancio della palla con una mano per l’intervento dell’arto superiore controlaterale di rinforzo alla proiezione anteriore della spalla omolaterale al lancio, la marcia a carponi crociata e lo striscio crociato per l’alternanza dell’uso differenziato dei quattro arti, il superamento di ostacoli vari, il rapido passaggio di posture e ogni altra attività che impegni i due emisomi in movimenti globali di tutto il corpo.
Nei deficit d’integrazione tra i cingoli la progressione è similare alla precedente con la differenza che il lavoro di differenziazione ed integrazione funzionale sarà impostato tra le due coppie di arti e non tra i due emisomi.
Il deficit d’integrazione tra tronco ed arti richiede un trattamento più complesso specie se si sono stabilizzate modalità posturali anomale e se si innestano ipertoni di contenimento nelle diverse attività di movimento globale. In questo deficit risulta indispensabile l’attività di rilassamento, di controllo e presa di coscienza del proprio asse nelle diverse posture e in semplici movimenti di flesso-estensione, antero-posteriore, latero-laterale e movimenti di rotazione. Raggiunto un adeguato controllo e conoscenza del proprio assetto corporeo nelle diverse posture, si potrà iniziare la richiesta di adattamento del tronco ai movimenti degli arti, prima semplici e poi progressivamente più complessi.
Il trattamento del deficit d’integrazione richiede l’attiva partecipazione del paziente, pertanto, i migliori risultati si riescono ad ottenere nell’età di latenza, ma questo non significa che, con opportuni accorgimenti e stimoli del desiderio in attività di gioco, non si possa fare un buon lavoro anche in età precedenti.
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Modifiche sociali attuali
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Roberto Carlo Russo
Il cambiamento della famiglia si è verificato soprattutto per la modifica del ruolo della donna nella società, prima artefice e gestore della funzione familiare.
Ora il suo inserimento nel mondo del lavoro ha determinato la necessità di far conciliare le mansioni di casalinga con quelle del lavoro esterno.
La duplice funzione ha portato al cambiamento dell’organizzazione e della funzionalità familiare con la diminuzione del numero dei figli, la necessità di collaborazione del marito al ménage familiare, una tendenza alla parità dei significati dei ruoli, la più facile e frequente precarietà del matrimonio, il costituirsi di nuovi nuclei familiari, la maggiore indipendenza della donna dalla famiglia per il valore che assume la sua partecipazione al mondo del lavoro e l’inevitabile indebolimento nel suo ruolo familiare (Tessarolo, 1993; Cusinato e Tessarolo, 1993).
Il modello tradizionale di famiglia si delinea verso nuove forme di organizzazioni temporali e spaziali, con la necessità di aiuto nell’accudimento della prole da parte di altre persone (nonni, baby sitter, asili nido), il bisogno dei genitori di compensare la carenza di tempo dedicato ai figli con atteggiamenti di iperprotezionismo, eccesso di regali e carenza di regole.
Durante la gravidanza la condizione biologica e psicologica della donna subisce un’importante cambiamento che porta alla valorizzazione dell’intimo rapporto privilegiato e simbiotico con il nascituro. Questa condizione, necessaria per preparare quel complesso di atteggiamenti definito «la costellazione materna» (Stern, 1995), viene in parte indebolita dai problemi e dall’attività sociale e lavorativa della donna.
Il maggiore impegno rivolto al raggiungimento della società del benessere ha portato un notevole aumento e arricchimento di nuovi stimoli evolutivi con la conseguenza di una precoce evoluzione dell’infanzia, ma ha anche determinato una modalità di vita infantile più frenetica e spesso caotica per le problematiche connesse al ritmo di vita del nucleo familiare. Sempre più frequentemente si assiste a distorsioni dei processi di sviluppo che includono l’autonomia, l’aggressività, la responsabilità e la socialità, determinando il cambiamento di ciò che si considerava una norma evolutiva in una nuova «norma» condizionata dalle modifiche familiari e sociali.
Il bambino riesce in parte ad adeguarsi, non senza problemi e disturbi, al rapido evolvere delle culture sociali, delle variegate miscele di usi e costumi appartenenti a società diverse, ma le preoccupazioni per le crisi evolutive dei figli, i nuovi interessi dei bambini e il loro rapido apprendimento delle nuove esperienze, determina una difficoltà nei genitori a comprendere ed a integrarsi ai rapidi mutamenti sociali, generando con facilità uno squilibrio di rapporto e comprensione generazionale con i figli. Spesso si assiste a comportamenti dei genitori privi di buon senso.
I dati epidemiologici di diversi autori hanno evidenziato l’aumento negli ultimi decenni del rischio psicopatologico nell’infanzia con una incidenza di disturbi che può arrivare al 25% e oltre a seconda dell’ambiente culturale ed economico (Zahner e altri, 1992; Levi e Penge, 1996). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001), a seguito di una indagine in un consistente campione ha identificato la presenza di psicopatologia nel 25% della popolazione infantile nelle società tecnicamente e culturalmente progredite. Ada Fonzi (1987) in una ricerca italiana sulla frequenza del bullismo, su 7000 bambini dagli 8 agli 11 anni ha riscontrato il 27 % di prepotenti e il 38 % vittime; l’autrice (2006) sostiene che il fenomeno del bullismo è in aumento e più alto in Italia rispetto alle altre nazioni europee.
Le caratteristiche comportamentali, le abilità e la socialità nell’infanzia hanno spesso mostrato notevoli modifiche in rapporto alle diverse condizioni di vita della società d’appartenenza.
La disamina del secolo appena passato mostra un continuo cambiamento degli usi e costumi delle società più evolute, per il travolgente sviluppo tecnologico, per l’allargamento delle possibilità comunicative, per la commistione di etnie diverse con il relativo bagaglio di competenze e usanze, culture e religioni.
In particolare in questi ultimi dieci anni e con crescita iperbolica, l’infanzia (specie dai sei anni in avanti) è stata conquistata dalla realtà virtuale: i video giochi, internet e i cellulari per comunicare verbalmente o più frequentemente tramite i messaggini.
Nello status symbol dei ragazzi ha preso la netta dominanza il cellulare e il computer sulla diverse culture e mode adolescenziali dei periodi precedenti (Hippy, Dark, Paninari, Metallari, Hip-Hop, Punk, ecc…).
Con i video giochi l’individuo è in una lotta infinita di competitività con gli amici o con sé stesso per un punteggio sempre migliore, permanendo in una ricerca delle abilità, ma deprivato dalle potenzialità creative in queste attività. In internet vengono assunte una massa d’informazioni spesso slegate tra loro e prive di connessioni storiche e causali; internet per contro assume valore nelle ricerche scolastiche. Tramite i cellulari i bambini e ragazzi comunicano molto, ma a distanza, perdendo il valore della comunicazione e discussione diretta arricchita dalla comunicazione non verbale. In alcuni bambini con disturbi relazionali i video giochi o alcuni film (tipo Harry Potter) possono favorire un ritiro dalla realtà concreta e un rifugio nella virtuale.
Da recenti ricerche americane, tuttora in corso, emerge che i ragazzi dell’attuale generazione, compresi tra i 10 e i 12 anni, che usano i video giochi con frequenza, sono più rapidi del 30% nell’analisi della percezione visiva rispetto a quelli che non li usano o li usano molto poco; riescono a prestare attenzione contemporaneamente a più particolari (multitasking), ma in termini superficiali e a discapito di analisi dei significati più profondi delle esperienze.
Questi ragazzi sembrano trascinati dallo stimolo alla velocità, un mordi e fuggi per nuove attività, pur rimanendo ancorati, con marcata contraddizione, a questo schema di vita di tempi rapidissimi sugli stessi temi. Il ritmo travolgente e nel contempo statico in senso creativo, determina facilmente stati d’ansia, d’insicurezza e spesso presunzione di conoscenze e di superiorità. Le nuove tecnologie, così come le precedenti mode e culture, hanno rafforzato la comunicazione tra i ragazzi, uniformandoli verso un comune modo di agire e di pensare, spesso distogliendo gli adolescenti dalle problematiche importanti sociali nei cui confronti si assiste ad un marcato disinteresse.
Nei confronti dei video game si riscontra la netta predominanza dei maschi, mentre le femmine usano di più la messaggistica tramite i cellulari e la scrittura.
L’aumento considerevole dell’instabilità psicomotoria o se preferiamo della sindrome ADHD, potrebbe essere messo in relazione anche a questi fattori e all’atteggiamento dell’adulto spesso intollerante nei confronti dell’esuberanza di alcuni bambini, essendo anch’esso vittima di una società caotica, disturbante, attualmente insicura e carente di un futuro in cui porre una valida speranza. Si assiste sempre più frequentemente a distorsioni dei processi di sviluppo che includono l’autonomia, l’aggressività e la socialità, a tal punto da ritenere arduo potere includere in una norma biologica una estesa percentuale dell’infanzia.
Negli ultimi 10 anni, a seguito degli assidui contatti con le insegnanti delle scuole materne, elementari e medie, un sempre più frequente numero di docenti dei tre cicli, selezionati per competenze e cultura, sostengono che circa il 50% dei loro allievi non possono essere inclusi in una evoluzione biologica che possa comprendere un adeguato sviluppo al riguardo dell’aggressività, dell’autonomia, della responsabilità e della socialità.
La norma evolutiva cambia in rapporto alle modifiche sociali, ma
- come si modifica il bambino in rapporto al rapido evolvere tecnologico, delle culture, delle variegate miscele di usi e costumi appartenenti a società diverse?
- Si verifica l’adattamento generazionale o si verifica una marcata discrepanza non solo tra nonni, genitori e figli, ma anche tra i fratelli a causa delle travolgenti modifiche tecnologiche, culturali e di tendenze comportamentali?
Inoltre nelle società la morale e il comportamento sociale tendono a scindersi in diversi codici a seconda del gruppo d’appartenenza generazionale, politico, religioso, di livello sociale, sportivo, adolescenziale, territoriale; il collante comune sono le leggi, ma anche queste vengono considerate, interpretate e applicate diversamente a seconda delle circostanze e degli individui. Anche le istituzioni e in particolare chi le governa, si trovano in gravi difficoltà a risolvere i nodi delle emergenti crisi sociali ed economiche a tal punto che a volte i rimedi posti diventano più negativi delle cause che li hanno provocati.
Per poter dare risposta a questa domanda e comprendere il significato di queste variabili dei modelli di riferimento evolutivo e le eventuali distorsioni che si riflettono nell’infanzia, è necessario prendere in considerazione l’ambiente di vita con i suoi modelli genitoriali e sociali, il tipo e la struttura sociale, il codice biologico, le tipologie genetiche, le caratteristiche neurofunzionali precoci, gli orientamenti neuropsicologici e gli eventi della vita del nucleo familiare e sociale.
È opportuno pertanto richiamare l’attenzione sulla necessità di affrontare il «problema sviluppo del sistema bambino-ambiente » e non il disturbo o la patologia del bambino presi separatamente dalle
condizioni sociali e dall’influenza del gruppo d’appartenenza. Stern (1995) sostiene che lo sviluppo del bambino normale deve essere considerato come una relazione, a maggior ragione sarà un problema di relazione il bambino disturbato.
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