Dinamiche emozionali dell’atto motorio
Roberto Carlo Russo
Wallon (1932, 1956) nella sua pubblicazione sulle sindromi da insufficienza dell’organizzazione psicomotoria e sulle tipologie psicomotorie, ha dato importanza alla stretta correlazione tra il tono muscolare e le caratteristiche dell’individuo e relative variabili in rapporto alle situazioni.
Ajuriaguerra (1950, 1974, 1978, 1962) ha riaffermato l’importanza del significato della variabilità del tono muscolare secondo l’accezione di Wallon e differenziato i tipi psicomotori in rapporto a quello che ha chiamato «dialogo tonico» sottolineandone l’importanza nella relazione con l’altro. Il significato del dialogo tonico è stato poi riconosciuto da numerosi autori tra i quali possiamo citare: Stambak (1963), Bergès (1964), Vayer (1971), Lapierre e Aucouturier (1975)
I valori emozionali del vissuto delle esperienze si esprimono in cariche gratificanti o frustranti e più spesso in un commisto delle medesime con la prevalenza di un tipo sull’altro. Questo meccanismo costituisce il «motore» essenziale dello sviluppo, stimolante o inibente, che permette di affrontare nuove esperienze o che riporta alle situazioni già note e meno impegnative.
L’interesse per il complesso gioco delle dinamiche emozionali che influenzano e determinano le modalità d’essere del bambino mi hanno indirizzato (1980-1984) ad approfondirne lo studio che ha dato esito alla ricerca di cui riporto le parti più significative.
L’ipotesi di partenza è stata lo studio, nell’attività motoria volontaria, delle correlazione tra le cariche emozionali del desiderio, dell’azione e del risultato. La ricerca è stata effettuata su 20 bambini normali, compresi tra il mese di vita ed i 7 anni, e 44 bambini affetti da patologie neuropsichiatriche varie, seguiti con video registrazioni per un arco di tempo di cinque anni. La presenza di dati ricorrenti, nei diversi soggetti e alle medesime età di maturazione, hanno suggerito la stesura del primo schema generale sulle dinamiche emozionali legate al desiderio, all’azione e al risultato (fig. 1).
Nei primi mesi di vita il bambino normale risponde alle sensazioni di malessere con il pianto, che richiama l’adulto per la soddisfazione dei bisogni vitali. All’insorgere del bisogno vi è un cambiamento, rispetto all’omeostasi biologica preesistente, che determina la risposta del pianto per richiamare l’adulto al superamento della frustrazione.
Questa modifica di potenziali energetici, la cui conseguenza è una sensazione particolare che chiamo emozionalità, partendo da livelli primitivi, si arricchisce di sensazioni specifiche correlate alle nuove esperienze.
Nelle primissime fasi della vita, il bisogno e la relativa risposta biologica (pianto) determinano un’emozionalità di tipo primitivo in cui la sensazione del momento d’insorgenza del cambiamento dell’equilibrio non sembra differenziata dalla sensazione determinata dalla risposta del bambino. Nei primi mesi di vita il bambino non mostra, tramite l’attività motoria o con espressioni mimiche, di avvertire la differenza tra i due momenti (stimolo e risposta); sembra che lo stimolo legato al bisogno sia o d’intensità sufficiente a dare la risposta oppure sia d’intensità sub-liminare tale da non dare esito al processo. Le ipotesi più recenti (Berthoz, 1997) affermano la plurisensorialità e contemporaneità dei processi neurologici del movimento.
Tali situazioni si verificano nelle risposte a stimoli vitali (fame, freddo, evacuazione, ecc.), ma anche a seguito di stimoli esterni che innescano risposte motorie. Se prendiamo in considerazione il riflesso di Moro, si potrà notare che il bambino assumerà una mimica particolare non allo stimolo, ma solo dopo la risposta in estensione, manifestando il suo stato emozionale tramite un atteggiamento di stupore (bocca semiaperta e occhi sbarrati) per circa 1 o 2 secondi, per poi reagire con il pianto.
In questo caso la sensazione vestibolare e quella propriocettiva, data dalla brusca estensione degli arti superiori ed inferiori determinate dalla improvvisa modifica del capo rispetto all’asse del tronco, appaiono unite in un unico stato emozionale che potrà differenziarsi nei due momenti stimolo e risposta solo in altre attività in fasi evolutive più avanzate.
Partendo da questi patterns (schemi) primitivi e tramite il ripetersi di essi ed il concatenarsi di nuove acquisizioni neuromotorie, il bambino sperimenta un vissuto emozionale che impronta delle tracce a livello cerebrale. In questo processo l’adulto apporta stimoli privilegiati (sguardo, voce, contatto corporeo, manipolazione, dondolamento, odore del latte, sensazioni visive) che impostano tracce associate alle sensazioni esperite, costituendo così un sistema funzionale complesso costituito dallo stimolo, dalla risposta motoria, dalla propriocettività, dalla emozionalità (sistema limbico) e dalle sensazioni associate di origine materna.
Per l’intervento di questo processo associativo tra l’emozionalità legata ai bisogni e gli stimoli esterni, si verifica un effetto impronta per cui il bisogno viene concatenato agli stimoli ambientali e questi vengono progressivamente riconosciuti come fornitori di determinate emozionalità. Al ripresentarsi degli stimoli ambientali, il bambino riprova l’emozionalità legata alla soddisfazione del bisogno e permane nell’attesa della sua reale soddisfazione. In fasi evolutive successive, con il ripetersi di questi stimoli ambientali, insorgono nel lattante il desiderio e l’attesa della soddisfazione del bisogno.
Nel corso del terzo mese il bambino, alla vista della mammella o del biberon, inizia a manifestare un atteggiamento mimico di particolare attenzione, al quale segue dopo 1 o 2 secondi un movimento degli arti. Si evidenzia così, per progressiva differenziazione, un livello emozionale legato al desiderio, separato dalla scarica motoria. Ho chiamato l’emozionalità legata al desiderio emozionalità di primo livello.
Verso il quarto mese, quando il lattante ha imparato a riconoscere alcuni oggetti familiari, alla vista di uno di questi evidenzia prima una immobilità per qualche secondo, con mimica che traduce particolare attenzione, quindi può presentare un abbozzo di sorriso oppure un rilasciamento della muscolatura mimica, precedentemente espressa nella maschera attentiva. Solo dopo circa 2 secondi (tempo di reazione) compariranno dei movimenti delle mani (tempo motorio) che evidenzieranno l’iniziale atto indirizzato all’«oggetto del desiderio». Questo comportamento dimostra come l’emozionalità del desiderio sia, a questi livelli, separata dall’azione e sembri servire da «molla» per agire il desiderio.
Nel periodo di comparsa del desiderio, le figure parentali, gratificate per queste manifestazioni, realizzano o facilitano la soddisfazione del desiderio, rinforzando con la propria emozionalità quella del bambino. Con il passare dei mesi, man mano che aumentano le capacità motorie e cognitive (e di logica conseguenza anche i desideri), l’ambiente inizia a porre dei limiti alle possibilità di realizzazione dei desideri. Se uno stesso desiderio viene provato diverse volte senza soddisfazione, possiamo osservare che l’emozionalità tende ad aumentare in proporzione alla permanenza del desiderio. Ciò è facilmente deducibile dall’aumento della partecipazione mimica e gestuale, ma se il desiderio continua a non essere realizzato, si nota una progressiva diminuzione dell’intensità dell’emozionalità fino alla rinuncia del desiderato ed eventualmente ad una sostituzione di questo con un nuovo desiderio.
In tal modo l’ambiente, già a questo livello, può notevolmente influenzare, tramite i rinforzi e le limitazioni, il vissuto e le potenzialità del bambino. Ho chiamato l’emozionalità provata durante l’azione emozionalità di secondo livello; questa è costituita dai comandi motori e dalle sensazioni propriocettive per l’azione. Ogni azione, già sperimentata, viene associata all’emozionalità legata alle esperienze similari precedentemente vissute.
Ho potuto notare che una bambina di due anni, a causa di una precedente caduta su un gradino, ogni volta che affrontava il gradino incriminato mostrava una particolare cautela e l’atto motorio necessario per il superamento del gradino veniva effettuato come se il gradino fosse più alto del reale. Ciò non avveniva quando affrontava altri gradini, nello stesso ambiente e della stessa altezza, rispetto ai quali non vi era stata una esperienza frustrante. Ne risulta che l’emozionalità esperita nell’azione è costituita dalla somma e tipo di esperienze similari precedenti e dai relativi vissuti.
Le figure parentali, con il loro atteggiamento valutante o svalutante, permissivo o coercitivo, autonomizzante o iperprotettivo, influenzeranno la fiducia del sé nella conquista autonoma del proprio desiderio. Il bambino con le proprie potenzialità, spinto dal desiderio, dovrà confrontarsi con le limitazioni ambientali e da ciò deriverà la lotta per la conquista del desiderato. Più intenso sarà il desiderio e più intenso sarà l’impegno per la sua realizzazione e parimenti sarà intensa l’emozionalità legata all’azione. L’azione realizzerà un risultato, emozionalità di terzo livello, che confrontato con il desiderio darà gratificazione o frustrazione a seconda della valutazione data.
Quattro fattori influenzano questa emozionalità: la reale soddisfazione del desiderio agito; l’impegno per l’azione (più difficoltosa sarà e più intensa sarà l’emozionalità); la valutazione individuale del risultato; la valutazione data dall’ambiente al risultato ottenuto dal bambino. Il fine gioco di questi fattori darà al bambino il significato di prevalente gratificazione o di prevalente frustrazione.
La spinta ad agire, sostenuta dal desiderio (emozionalità di primo livello), permetterà il passaggio all’azione (emozionalità di secondo livello) ed alla realizzazione del desiderato (emozionalità di terzo livello), dando una fiducia del sé, intesa come potenzialità ad essere autonomo. I due cardini, spinta ad agire e fiducia del sé, interdipendenti e autorinforzantesi, sostengono la ricerca continua di nuove possibilità di essere e di conoscere, quindi rappresentano le due forze della spinta evolutiva (fig.1)
Fig. 1
La progressione delle esperienze apporta nuove emozionalità nel continuo confronto tra i propri desideri e i condizionamenti ambientali, ma non sempre il confronto con il reale permette di cimentarsi in una lotta per le nuove conquiste, vuoi per cause di patologia individuale, vuoi per serie limitazioni ambientali alla spinta evolutiva. In questi casi l’individuo, sentendo troppo oneroso lo sforzo evolutivo, può effettuare una momentanea rinuncia che tende a riportarlo ad una ricerca di dipendenza e di regressione a seguito di uno stato depressivo, in quanto la rinuncia evolutiva contrasta con la spinta biologica. È un rifugio verso esperienze note di sicurezza, che innestano una diminuzione attentiva verso l’ambiente, una tendenza alla chiusura e una diminuita disponibilità motoria e cognitiva. Da questa fase regressiva, per la insita spinta vitale verso l’evoluzione, si passerà a nuovi e modificati desideri evolutivi.
Per contro, se il bambino sceglie la lotta per la propria autonomia, affronterà l’ignoto per la conquista della propria indipendenza. Il livello emozionale sarà esaltato, aumentata l’attenzione all’ambiente e massima la disponibilità motoria e cognitiva. Se il risultato sarà gratificante, si rafforzerà la fiducia del sé e la spinta ad agire; se il risultato sarà frustrante, potrà esserci un ripiego momentaneo verso la rinuncia o la ricerca di nuovi adattamenti (fig. 2).
Fig. 2
Da quanto sopra esposto, risulta comprensibile come queste dinamiche emozionali costituiscano l’essenza dei vissuti che influenzeranno le modalità relazionali nelle future esperienze.
I valori di queste emozionalità assumeranno particolare significato nelle diverse fasi di sviluppo. Il vissuto che ne consegue potrà essere adeguato alle reali potenzialità del bambino, oppure le esperienze, tipiche di quella determinata fase di sviluppo, potranno essere scarsamente pregnanti o vissute in una distorsione rispetto alla realtà. Il fine gioco di queste dinamiche emozionali nelle diverse fasi evolutive assumerà particolare ed importantissimo valore nel processo terapeutico.
Bibliografia essenziale
Ajuriaguerra J. (De) et coll.(1950) Tonus et types psychomteurs. Actes du Premier Congrès Intern. d=Anthropologie Différentielle.
Ajuriaguerra J. (De) (1974) L=organisation psychomotrice et son troubles. pp. 237-295, Masson, Paris.
Ajuriaguerra J.(De) (1978) Ontogéneèse de la motricité. In Hécaen H., Jeannerod M. (a cura di). Du côntrol moteur à l=organisation du geste. Masson, Paris.
Ajuriaguerra J. (De) (1962) Le corps comme relation. Rev. Suisse Psychol. Pure Appl., 27, pp. 137-157.
Bergès J. (1964) Les données fournies par l=éxamen clinique du tonus. Perspectives Psych., 6.
Berthoz a. (1997) Il senso del movimento. Tr. It. (1998), McGraw-Hill, Milano.
Lapierre A., Aucouturier B. (1975) La symbolique du mouvment, EPI, Paris.
Russo R.C. (1985) Le dinamiche emozionali dell’atto motorio. Pratica Psicomotoria, 3, 18-23.
Russo R.C. (1988). Le dinamiche emozionali dell’atto motorio. In: La diagnosi in psicomotricità. Casa Ed. Ambrosiana, Milano, 1-9.
Russo R.C. (2000) Le dinamiche emozionali dell’atto motorio, in: Diagnosi e terapia psicomotoria. Casa Ed. Ambrosiana, Milano, 18-23.
Stambak M. (1963) Tonus et psychomotricité dans la prémière infance. Delachaux et Niestlé, Neuchátel.
Vayer P. (1971) Le dialogue corporel, Doin, Paris.
Wallon H. (1932) Sindromes d=insuffisance psycho-motrice et types psichomoteurs. Annales Méd. Psychol., 4.
Wallon H. (1956) Importance du mouvement dans le développement phychologique de l=enfant. Enfance, 9, 1.
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Bisogni evolutivi del bambino nell’attuale società
Roberto Carlo Russo
Il comportamento del bambino è frutto di un lungo evolvere che, partendo da una base biologica, interagisce con le condizioni socio-culturali dell’ambiente in cui vive. L’adattamento comportamentale del bambino deve prendere in considerazione il fenomeno in atto e rapportarlo alle caratteristiche specie-specifiche tipiche della razza umana, alle caratteristiche costitutive di base, alle modalità relazionali tipiche dell’età, all’interazione continua della forza plasmante dell’ambiente, ai principi educativi, ai fattori culturali e sociali ed a tutti i possibili fattori che influiscono e interagiscono nella storia evolutiva.
Considerato che i metodi educativi dei genitori risentono e vengono influenzati di continuo dall’ambiente sociale, attuale o di provenienza, e dai relativi sistemi condizionanti, è importante domandarsi quali siano gli effetti potenziali della società e della relativa cultura sull’evoluzione della personalità infantile.
Società e cultura
Lo studio degli usi, costumi, regole e modalità di vita delle diverse società e della loro storia, ha apportato importanti informazioni sulla frequente contrapposizione tra la naturale spinta evolutiva del bambino e le richieste dell’adulto ad un adattamento comportamentale spesso previsto per fini troppo in antitesi alle esigenze evolutive del bambino.
Ogni società ha la sua cultura, cioè il complesso assieme di tradizioni, usanze, costumi, conoscenze, credenze, regole e tipo di morale che la contraddistinguono dalle altre società. I diversi fattori, assunti dagli individui di un gruppo sociale, hanno una loro base esistenziale, in parte acquisita nei tempi per necessità di sopravvivenza, per un migliore adattamento, per richieste religiose, per un più efficiente strumento di potere e in parte dettati e tramandati di generazione in generazione per motivi di cui spesso si sono perse le tracce nel tempo.
Le numerose ricerche antropologiche sulle società tribali hanno evidenziato caratteristiche culturali molto variabili, a volte anche con valori sociali e morali completamente opposti nei diversi ceppi.
Anche in molte società, progredite in senso tecnologico e culturale, si possono riscontrare valori sociali e morali, credenze e usanze prive di fondamenti reali, intesi in senso biologico e di rispetto nei confronti dei diritti della persona.
Si riscontra spesso l’importanza del maschio come primogenito, la sottomissione della donna, le superstizioni, situazioni che possono determinare effetti dannosi, il valore assoluto dell’intelligenza e della supremazia nei maschi in diversi paesi, la variabilità della gestualità e dei relativi significati a seconda delle culture, il comportamento e il significato di sottomissione diverso a seconda del referente, i segnali di prestigio sociale variabili a seconda della personalità alla quale sono indirizzati, le notevoli variabili nei tabù sessuali, le diverse religioni precettano regole che spesso contrastano con i diritti biologici e il rispetto dell’eguaglianza tra gli individui.
Ogni società crea la propria cultura che inposta il comportamento sociale; l’individuo, osservando le regole, si sente consono ai principi sociali, ne assume il valore nell’educazione della prole. La cultura delle società è retaggio di antiche usanze, ma è anche frutto di indispensabili modifiche sostenute da reali necessità adattative o da spinte evolutive delle nuove generazioni.
È molto difficile affermare quale sia la cultura più idonea per quella data società, nel rispetto del sesso, delle età e dell’ambiente di vita, ma sicuramente sono identificabili alcune usanze, controlli e poteri che non rispettano la persona nelle sue caratteristiche e potenzialità. Tenendo in considerazione questa molteplicità di fattori risulta più accessibile la comprensione di determinati atteggiamenti del bambino che apparirebbero altrimenti avulsi dalla realtà e inaccettabili come fenomeni consequenziali; solo collocandoli nell’ambiente in cui vive il bambino è possibile comprenderne l’origine e la persistenza.
Modifiche sociali attuali
Il cambiamento della famiglia si è verificato soprattutto per la modifica del ruolo della donna nella società, prima artefice e gestore della funzione familiare. Il suo inserimento nel mondo del lavoro ha determinato la necessità di far conciliare le mansioni di casalinga con quelle del lavoro esterno. La duplice funzione ha portato al cambiamento dell’organizzazione e della funzionalità familiare con la diminuzione del numero dei figli, la necessità di collaborazione del marito al menage familiare, una tendenza alla parità dei significati dei ruoli, la più facile e frequente precarietà del matrimonio, il costituirsi di nuovi nuclei familiari, la maggiore indipendenza della donna dalla famiglia per il valore che assume la sua partecipazione al mondo del lavoro e l’inevitabile indebolimento nel suo ruolo familiare (Tessarolo, 1993; Cusinato e Tessarolo, 1993).
Il modello tradizionale di famiglia si delinea verso nuove forme di organizzazioni temporali e spaziali, con la necessità di aiuto nell’accudimento della prole da parte di altre persone (nonni, babysitter, asili nido), il bisogno dei genitori di compensare la carenza di tempo dedicato ai figli con atteggiamenti di iperprotezionismo, eccesso di regali e carenza di regole.
Durante la gravidanza la condizione biologica e psicologica della donna subisce un importante cambiamento che porta alla valorizzazione dell’intimo rapporto privilegiato e simbiotico con il nascituro. Questa condizione, necessaria per preparare quel complesso di atteggiamenti definito la costellazione materna (Stern,1995), viene in parte indebolita dai problemi e dall’attività sociale e lavorativa della donna.
Il maggiore impegno rivolto al raggiungimento della società del benessere ha portato un notevole aumento e arricchimento di nuovi stimoli evolutivi con la conseguenza di una precoce evoluzione dell’infanzia, ma ha anche determinato una modalità di vita infantile più frenetica e spesso caotica per le problematiche connesse al ritmo di vita del nucleo familiare.
Sempre più frequentemente si assiste a distorsioni dei processi di sviluppo che includono l’autonomia, l’aggressività, la responsabilità e la socialità, determinando il cambiamento di ciò che si considerava una norma evolutiva in una nuova norma condizionata dalle modifiche familiari e sociali.
Il bambino riesce in parte ad adeguarsi, non senza problemi e disturbi, al rapido evolvere delle culture sociali, delle variegate miscele di usi e costumi appartenenti a società diverse, ma le preoccupazioni per le crisi evolutive dei figli, i nuovi interessi dei bambini e il loro rapido apprendimento delle nuove esperienze, determina una difficoltà nei genitori a comprendere ed a integrarsi ai rapidi mutamenti sociali, generando con facilità uno squilibrio di rapporto e comprensione generazionale con i figli. Spesso si assiste a comportamenti dei genitori privi di buon senso.
I dati epidemiologici di diversi autori hanno evidenziato l’aumento negli ultimi decenni del rischio psicopatologico nell’infanzia con una incidenza di disturbi che può arrivare al 25% e oltre a seconda dell’ambiente culturale ed economico (Zahner e altri, 1992; Levi e Penge, 1996).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001), a seguito di una indagine in un consistente campione ha identificato la presenza di psicopatologia nel 25% della popolazione infantile nelle società tecnicamente e culturalmente progredite.
Ada Fonzi (1987) in una ricerca italiana sulla frequenza del bullismo, su 7000 bambini dagli 8 agli 11 anni ha riscontrato il 27 % di prepotenti e il 38 % vittime; l’autrice (2006) sostiene che il fenomeno del bullismo è in aumento e più alto in Italia rispetto alle altre nazioni europee.
Le caratteristiche comportamentali, le abilità e la socialità nell’infanzia hanno spesso mostrato notevoli modifiche in rapporto alle diverse condizioni di vita della società d’appartenenza.
La disamina del secolo appena passato mostra un continuo cambiamento degli usi e costumi delle società più evolute, per il travolgente sviluppo tecnologico, per l’allargamento delle possibilità comunicative, per la commistione di etnie diverse con il relativo bagaglio di competenze e usanze, culture e religioni.
A partire dagli anni 2000 e con crescita iperbolica, l’infanzia (specie dai sei anni in avanti) è stata conquistata dalla realtà virtuale: i video giochi, internet e i cellulari per comunicare verbalmente o più frequentemente tramite i messaggini. Nello status simbol dei ragazzi ha preso la netta dominanza il cellulare e il computer nei confronti delle culture e mode adolescenziali dei periodi precedenti (Hippy, Dark, Paninari, Metallari, Hip-Hop, Punk, ecc..).
Con i video giochi l’individuo è in una lotta infinita di competitività con gli amici o con sé stesso per un punteggio sempre migliore, permanendo in una ricerca delle abilità, ma deprivato dalle potenzialità creative in queste attività. In internet vengono assunte una massa d’informazioni spesso slegate tra loro e prive di connessioni storiche e causali; internet per contro assume valore nelle ricerche scolastiche. Tramite i cellulari i bambini e ragazzi comunicano molto, ma a distanza, perdendo il valore della comunicazione e discussione diretta arricchita dalla comunicazione non verbale. In alcuni bambini con disturbi relazionali i video giochi o alcuni film (tipo Harry Potter) possono favorire un ritiro dalla realtà concreta e un rifugio nella virtuale.
Da recenti ricerche americane, tuttora in corso, emerge che i ragazzi dell’attuale generazione, compresi tra i 10 e i 12 anni, che usano i video giochi con frequenza, sono più rapidi del 30% nell’analisi della percezione visiva rispetto a quelli che non li usano o li usano molto poco; riescono a prestare attenzione contemporaneamente a più particolari (multitasking), ma in termini superficiali e a discapito di analisi dei significati più profondi delle esperienze. Questi ragazzi sembrano trascinati dallo stimolo alla velocità, un mordi e fuggi per nuove attività, pur rimanendo ancorati, con marcata contraddizione, a questo schema di vita di tempi rapidissimi sugli stessi temi. Il ritmo travolgente e nel contempo statico in senso creativo, determina facilmente stati d’ansia, d’insicurezza e spesso presunzione di conoscenze e di superiorità. Le nuove tecnologie, così come le precedenti mode e culture, hanno rafforzato la comunicazione tra i ragazzi, uniformandoli verso un comune modo di agire e di pensare, spesso distogliendo gli adolescenti dalle problematiche importanti sociali nei cui confronti si assiste ad un marcato disinteresse.
Nei confronti dei video game si riscontra la netta predominanza dei maschi, mentre le femmine usano di più la messaggistica tramite i cellulari e la scrittura.
L’aumento considerevole dell’instabilità psicomotoria o se preferiamo della sindrome ADHD, potrebbe essere messo in relazione anche a questi fattori e all’atteggiamento dell’adulto spesso intollerante nei confronti dell’esuberanza di alcuni bambini, essendo anch’esso vittima di una società caotica, disturbante, attualmente insicura e carente di un futuro in cui porre una valida speranza.
Si assiste sempre più frequentemente a distorsioni dei processi di sviluppo che includono l’autonomia, l’aggressività e la socialità, a tal punto da ritenere arduo potere includere in una norma biologica una estesa percentuale dell’infanzia.
Negli ultimi 30 anni, a seguito degli assidui contatti con le insegnanti delle scuole materne, elementari e medie, un sempre più frequente numero di docenti dei tre cicli, selezionati per competenze e cultura, sostengono che circa il 50% dei loro allievi non possono essere inclusi in una evoluzione biologica che possa comprendere un adeguato sviluppo al riguardo dell’aggressività, dell’autonomia, della responsabilità e della socialità.
La norma evolutiva cambia in rapporto alle modifiche sociali, ma come si modifica il bambino in rapporto al rapido evolvere tecnologico, delle culture, delle variegate miscele di usi e costumi appartenenti a società diverse? Si verifica l’adattamento generazionale o si verifica una marcata discrepanza non solo tra nonni, genitori e figli, ma anche tra i fratelli a causa delle travolgenti modifiche tecnologiche, culturali e di tendenze comportamentali?
Nelle società attuali la morale e il comportamento sociale tendono a scindersi in diversi codici a seconda del gruppo d’appartenenza generazionale, politico, religioso, di livello sociale, sportivo, adolescenziale, territoriale; il collante comune sono le leggi, ma anche queste vengono considerate, interpretate e applicate diversamente a seconda delle circostanze e degli individui. Anche le istituzioni e in particolare chi le governa, si trovano in gravi difficoltà a risolvere i nodi delle emergenti crisi sociali ed economiche a tal punto che a volte i rimedi posti diventano più negativi delle cause che li hanno provocati.
Per poter dare risposta a questa domanda e comprendere il significato di queste variabili dei modelli di riferimento evolutivo e le eventuali distorsioni che si riflettono nell’infanzia, è necessario prendere in considerazione l’ambiente di vita con i suoi modelli genitoriali e sociali, il tipo e la struttura sociale, il codice biologico, le tipologie genetiche, le caratteristiche neurofunzionali precoci, gli orientamenti neuropsicologici e gli eventi della vita del nucleo familiare e sociale.
È opportuno pertanto richiamare l’attenzione sulla necessità di affrontare il problema sviluppo del sistema bambino-ambiente e non il disturbo o la patologia del bambino presi separatamente dalle condizioni sociali e dall’influenza del gruppo d’appartenenza.
Stern (1995) sostiene che lo sviluppo del bambino normale deve essere considerato come una relazione, a maggior ragione sarà un problema di relazione il bambino disturbato.
Gli attuali bisogni dei bambini
Considerato quanto fino ad ora citato, per affrontare il tema dei bisogni dell’infanzia, è necessaria una analisi della situazione infantile attuale.
Il notevole apporto di nuovi stimoli e della loro frequente variabilità (cartoni animati con tecnologie avveniristiche, giochi con funzioni complesse, precoci proposte di libri per apprendere, stimoli precoci alla rappresentazione grafica e pittorica, stimoli pubblicitari, eccesso e spesso indiscriminato uso televisivo, cellulari, video giochi e computer) ha determinato una più rapida evoluzione delle competenze intellettive e di interessi sempre più proiettati verso età future, creando difficoltà di confronto con i modelli familiari e sociali di stimolo evolutivo ed educativo non adeguati alle nuove repentine modifiche.
L’interesse e l’alta motivazione per la pluralità dei nuovi e incalzanti stimoli, trova un terreno favorevole nella disponibilità organizzativa e funzionale del sistema nervoso del bambino che possiede grande desiderio di novità, rapida evoluzione degli interessi, notevole sviluppo delle competenze.
I genitori, per i loro acquisiti modelli di comportamento, si trovano in difficoltà di adattamento alle nuove richieste, spesso non riescono a impostare una scelta adeguata, a volte subiscono, a volte rispondono in modo repressivo.
Possono essere riconosciuti fattori sociali e fattori familiari che hanno effetti di scompenso evolutivo con potenziali effetti psicopatologici.
Fattori sociali di scompenso evolutivo
Presenza di etnie diverse
tipi di usanze e costumi
tipi di culture
tipi di fedi religiose
Pluralità di modelli sociali
nei cicli scolastici
nei ceti sociali
in ambiti lavorativi
in ambiti religiosi
in ambiti gruppali o associativi vari
in gruppi spontanei
Condizioni economiche
floride con alto potere d’acquisto
carenti o molto carenti con basso potere d’acquisto
Comunicazioni
pluralità di lingue
linguaggi dei messaggi tramite cellulari
linguaggi internet
linguaggi particolari di specifici gruppi
linguaggio pubblicitario
carente capacità comunicativa tra generazioni
Rapide modifiche tecnologiche
in tutti i campi
Attività ludiche
giochi con alta tecnologia
video giochi
game boy
play station
computer
perdita dei vecchi giochi (nascondino, mosca cieca, bandiera, guardia e ladri, soldatini, gioco del mondo, lippa, biglie, ecc..)
Fattori familiari di scompenso evolutivo
Impegno lavorativo dei genitori (attualmente predominante)
minore presenza dei modelli più significativi
atteggiamenti reattivi e oppositivi del bambino
atteggiamenti di continue richieste o di ritiro affettivo
stanchezza dei genitori con facili intolleranze
- Presenza di modelli sostitutivi
confronto con modelli diversi e loro uso utilitaristico
potenziali conflitti diretti o indiretti tra i diversi modelli
difficoltà d’identificazione del modello a cui riferirsi
- Compensi alle carenze
frequenza eccessiva di regali
eccesso di accondiscendenza alle richieste
carenza di regole
scarso stimolo all’autonomia
favorito l’uso della TV, dei video giochi, del computer
- Prevalenza dell’importanza delle competenze cognitive
eccesso di valorizzazioni cognitive rispetto all’affettività
carenza educativa in rapporto al variare delle situazioni
- Prevalenza del virtuale rispetto alla sperimentazione concreta
facile fuga nel fantastico
permanenza e potenziamento dell’onnipotenza
carente capacità d’adattamento nei rapporti sociali
- Carenza di tempo per il gioco libero con gli amici
- scuola a tempo pieno
- predominio delle organizzazioni sportive e religiose
- marcata carenza dei vecchi cortili (possibilità d’incontri e di socializzazioni)
- giornate completamente organizzate dall’adulto con cadenze definite
Tali fattori portano frequentemente nei primi anni a indurre comportamenti emotivo-affettivi infantili rispetto all’età, sostenuti spesso da una base insicura per un attaccamento disturbato (Bolwby, 1969-1973-1980-1988) che può manifestarsi con atteggiamenti evitanti, ambivalenti, disorganizzati come evidenziato nella Infant Strange Situation (Ainsworth, 1978) e relativi riflessi nell’adulto con stati della mente di tipo distanziante, preoccupato, disorganizzato (Hess, 1996-1999). Tante ricerche hanno confermato l’importanza nei primi anni di vita dell’effetto disturbante lo sviluppo a causa di fattori sociali e di riflesso familiari; possiamo ricordare gli scritti di Cramer, Fonzi, Fraiberg, Greespan, Kalmanson, Palacio Espasa, Stern, Trevarthen e tanti altri ancora.
Il rapido sviluppo intellettivo e il relativo potenziamento degli adulti, si deve rapportare con una carenza di confronto-scontro pratico con i coetanei e successiva ricerca di compromesso socializzante che viene reso più difficile da iperprotezionismi, carenza di regole, scarsi stimoli all’autonomia, assenza di partecipazione a mansioni familiari.
Nel confronto con i modelli sociali il bambino incontra e si confronta con una pluralità di modelli, con compagni di diverse culture, usi, costumi e religioni. Tali situazioni se da una parte arricchiscono di nuove esperienze, dall’altra inducono insicurezze e disorientamenti che aumentano il divario tra il Sé e le precedenti generazioni di modelli familiari e sociali che a loro volta possono essere tra loro in contradizione sia per gli stimoli evolutivi che per il comportamento.
Potenziali effetti sul bambino
Quanto precedentemente citato presenta effetti disturbanti sulla psiche del bambino, effetti che possono dare una variegata serie di disturbi.
- Disorientamento nei confronti dei modelli evolutivi
- Sovraccarico di stimolazioni con facile ansia
- Atteggiamenti di carenza espressiva e affettiva
- Difficoltà di elaborazione delle frustrazioni
- Permanenza nell’onnipotenza
- Pretesa di soddisfazione di ogni desiderio
- Carente autonomia
- Scarso senso di responsabilità per le proprie azioni
- Mancato rispetto delle regole
- Carente socializzazione
- Tendenza alle evasioni fantastiche
- Disturbo dell’aggressività (bullismo e vittimismo)
- Difficoltà ad emergere della personalità socialmente integrata
- Super investimento intellettivo a discapito dell’affettivo.
Tutti questi disturbi, che spesso impostano corrispondenti connotazioni personali, possono essere, più o meno accentuati, facilmente presenti singolarmente o variamente combinati. Va debitamente segnalato che tali caratteristiche possono diminuire o anche essere superate per l’intervento di modifiche ambientali positive nel corso evolutivo.
Quali proposte possibili?
Possiamo ipotizzare cinque proposte, che tra le diverse possibili sembrano più efficaci che dipenderanno dall’intenzionalità delle istituzioni sociali (Associazioni, Federazioni, ASL, Comuni, Province, Regioni, Governo) e che richiederanno lunghi tempi di anni per ottenere risultati apprezzabili.
Sembra ormai indifferibile una presa in carico di rivalutazione dei valori fondamentali biologici e sociali a salva guardia del futuro
Disponibilità materna
- Programmare l’obiettivo di permettere, con gli indispensabili mantenimenti economici, alle madri di rimanere a tempo pieno con il loro figlio almeno fino al 18° mese e a part time fino al compimento del 3° anno.
Sensibilizzazione dei genitori
- Tramite depliant, convegni, incontri informativi alle gestanti
- Asili nido
- Scuole materne
- Scuole elementari
- Consultori familiari
- Pediatri di base
Modifiche sociali
- Valorizzazione di tutti gli ordini scolastici per una maggiore presa in carico dei valori sociali.
- Aggiornamenti degli operatori scolastici sull’importanza della loro figura in qualità non solo per l’insegnamento, ma soprattutto per il significato di modello sociale e di rispetto alla persona.
- Verifica permanente della validità dei modelli affinché siano da esempio.
Regolamentazioni e limitazioni
- Programmi TV istruttivi e di divertimento adeguati all’infanzia e all’adolescenza, trasmessi in orari consoni alla possibilità recettiva
- Controllo specifico sulla pubblicità televisiva centrata per gli acquisti da parte dell’infanzia.
- Controllo sul tipo di giochi per l’infanzia affinché siano adeguati e consigliati per fasce d’età.
Organizzazioni e strutture sociali
- Luoghi per attività ludiche e ricreative per bambini piccoli
- Attrezzature sportive e associazioni sportive
- Tutte quelle modifiche sociali per una condizione di vita meno caotica e con sicuri e validi obiettivi sociali.
Milano 05/11/2020
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Learn MoreSindrome da scarsa fiducia del sé
Sindr.ScarsoSeRoberto Carlo Russo
Sindrome da scarsa fiducia del sé[1]
Nel 1957 Balconi e Berrini, nella classificazione della struttura della personalità infantile e nelle diagnosi correlate, avevano segnalano all’inizio della scuola elementare in alcuni bambini la presenza di sintomi quali l’ansia, il timore della realtà esterna all’ambito familiare, la debolezza dell’Io, gli atteggiamenti infantili ed individuano un ritardo nella organizzazione strutturale della personalità, in bambini privi di organicità e con normali livelli intellettivi. Le Autrici ipotizzarono nei genitori di questi bambini una particolare incoerenza educativa.
A seguito di questa segnalazione ho approfondito il problema ed ho riscontrato una certa presenza di questa tipologia nell’età della Scuola dell’infanzia, le cui caratteristiche si presentavano più evidenti all’ingresso della Scuola Primaria di Primo grado (Scuola Elementare). Nell’analisi di numerosi casi il riscontro di comportamenti caratteristici, con esclusione di carenze organizzative neurologiche, mi ha indirizzato a proporre l’esistenza della Sindrome da Scarso Sé (R.C.Russo 1986) confermando la presenza di sintomi tipici tali da potere affermare l’esistenza abbastanza frequente (10,23 % su una casistica di 1075 bambini segnalati per problemi neuropsichiatrici)
È frequente il riscontro, di norma all’inizio delle elementari di segnalazioni da parte degli insegnanti di bambini timidi, particolarmente riservati, richiedenti eccessivo aiuto, che tendono a perdersi per modeste difficoltà e che sono scarsamente partecipi nelle libere attività ludiche di grande movimento con i compagni, specie con quelli motoriamente più attivi. In molti di questi bambini le insegnanti riconoscono buone potenzialità intellettive che si manifestano in alcuni momenti favorevoli, se seguiti individualmente e con un atteggiamento gratificante e di sostegno.
Nell’ambito familiare il comportamento non presenta particolari problematiche, mentre i primi segnali, spesso presi poco in considerazione, si verificano nella scuola materna con marcato prolungamento dei tempi di adattamento nell’inserimento, una scarsa disponibilità di confronto con i pari nelle attività, la difficoltà a creare nuove amicizie, la prevalenza di un rapporto singolo con un compagno con caratteristiche simili alle proprie.
Una parte di questi bambini se seguiti dall’adulto con atteggiamento di rinforzo e fiducia tendono col tempo a superare queste loro insicurezze e a modellare la loro personalità in senso più evoluto e socializzante; per contro altri bambini, in situazioni ambientali meno favorevoli, si avviano a strutturare una personalità caratterizzata da una progressiva sfiducia nelle proprie capacità, da atteggiamenti di ritiro quando le richieste sono impegnative, da una riduzione delle competenze scolastiche, spesso erroneamente interpretate come deficit cognitivo. In molti casi questi bambini non vengono segnalati ai servizi di neuropsichiatria infantile, specie se la resa scolastica è discreta, anche se è presente una scarsa fiducia del Sé che determina nel bambino il comportamento sopra descritto e uno scaro impegno nella relazione sociale.
Quando questi casi arrivano ai servizi di neuropsichiatria infantile, pur riconoscendo la tipologia del comportamento e le dinamiche relazionali, risulta difficile porre una diagnosi certa in quanto i disturbi della sfera emozionale, quelli riferibili all’ansia e quelli caratterizzanti il disturbo della socializzazione, si combinano fra loro in modo così variegato da rendere difficile l’inquadramento nosografico.
L’ICD 10 nel gruppo F93 include le Sindromi e disturbi della sfera emozionale con esordio caratteristico nell’infanzia, sostiene che il disturbo rappresenta un’accentuazione di un aspetto dello sviluppo normale e che deve essere ben differenziato dalla patologia nevrotica ad insorgenza nel periodo preadolescenziale e adolescenziale. L’ICD 10 riconosce: sindrome ansiosa da separazione (F93.0), sindrome fobica dell’infanzia (F93.1), sindrome di ansia sociale dell’infanzia (F93.2), disturbo da rivalità tra fratelli (F93.3), sindrome o disturbo emozionale dell’infanzia di altro tipo (F93.8) e sindrome o disturbo emozionale dell’infanzia non specificato (F93.9). Il DSM IV ha una classificazione simile all’ICD 10.
La Classificazione diagnostica 0-3 anni nel capitolo Disturbi dell’affettività (200) comprende: disturbo d’ansia dell’infanzia (201), disturbo dell’umore per perdita di un genitore (202), disturbo depressivo (203), disturbo misto delle emozioni (204), disturbo dell’identità di genere (205), disturbo dell’attaccamento reattivo (206).
L’ICD9-CM (che corrisponde all’impostazione dell’ICD9 con modifiche cliniche), attualmente adottata in alcune regioni italiane, nel gruppo 313 «Disturbi dell’emotività specifici dell’infanzia e dell’adolescenza» apporta alcune modifiche rispetto le precedenti classificazioni e nel sottogruppo 313.2 «Con ipersensibilità timidezza e isolamento sociale», in cui possono rientrare anche alcune forme di mutismo, individua un gruppo da genesi diversa, centrato sul tipo di sintomatologia presente.
Appare importante e significativo differenziare dalle classificazioni nosografiche sopra citate, senza metterle in discussione, quelle forme con un corredo sintomatico (espresso in termini motori, emozionali e relazionali) caratterizzato da una scarsa fiducia nelle proprie capacità pur essendo presente un regolare sviluppo psicomotorio e una normale evoluzione delle funzioni psichiche superiori. Questa tipologia può essere identificata in una sindrome che può esprimersi con modalità differenti, ma con una genesi comune: la costante presenza di modelli educativi inadeguati alle caratteristiche personali del bambino. È importante evidenziare in tempi precoci queste forme per evitare che si strutturi nel bambino una personalità con Io fragile e dipendente dall’altro.
Sindrome da scarso Sé
Questa è una sindrome di frequente riscontro nella nostra società. La sua genesi può essere determinata con prevalenza da due fattori tra loro in antitesi ma di effetto similare sul piano evolutivo. L’atteggiamento svalutativo di ogni acquisizione e di ogni esperienza fatta dal bambino che finisce col provocare, dopo una fase di reattività, una progressiva accettazione, sul modello valutativo dell’adulto, della propria incapacità di dare dei risultati soddisfacenti.
Un altro fattore è rappresentato dall’iperprotezionismo che può manifestarsi con atteggiamenti diversi. In alcuni casi la figura parentale, dopo aver mostrato le varie difficoltà, le risolve non permettendo al bambino di cimentarsi con le proprie capacità. In altri casi le difficoltà vengono rimosse e anticipata la soddisfazione dei desideri, preparando in tal modo un iter evolutivo privo di ostacoli. Anche l’atteggiamento educativo di concessione totale di soddisfazione dei desideri e la conseguente prevalenza del volere del bambino sulle regole del nucleo familiare, impedisce di affrontare una valutazione adeguata delle difficoltà del percorso evolutivo.
Questi atteggiamenti educativi hanno sempre effetti negativi, ma con risultati diversi (sia per intensità che per modalità) a seconda delle caratteristiche biologiche del bambino. Spesso sono la causa di una carenza di impegno nell’affrontare le nuove situazioni, le difficoltà quotidiane e l’accettazione delle regole.
In età in età scolare, non avendo a fianco la figura iperprotettrice, il bambino deve affrontare da solo il confronto con le esperienze quotidiane e di particolare importanza evolutiva il confronto con i coetanei. La mancata preparazione alle difficoltà determinerà facili sconfitte che in seguito struttureranno una sfiducia del sé anche nelle attività già sperimentate e ritenute adeguate alle proprie potenzialità.
L’età tipica per la genesi di questa patologia è quella compresa tra i 12 ed i 48 mesi, suddivisibile in due periodi. Dai 12 ai 24 mesi il bambino vive l’esplorazione e la conquista dello spazio, l’uso ed il dominio dell’oggetto; in questo periodo sperimenta la propria potenzialità nel confronto con l’ambiente inanimato e l’adulto vigila e sottolinea positivamente o negativamente questa autonomia, rinforzando o smorzando la spinta evolutiva di conquista. Dai 24 ai 48 mesi il bambino vive prevalentemente l’interesse, la scoperta, il confronto e lo scontro con l’altro essere a lui più simile: il coetaneo. Con esso si cimenta in conoscenze, schermaglie, opposizioni, alleanze, lotte dichiarate, per poi arrivare ad una mediazione che gli permetterà di costruire man mano i piani di un’adeguata socializzazione in cui la forza e la fiducia dell’uno si saldano e si consolidano in quelle dell’altro.
A seconda del maggiore influsso negativo dell’ambiente nel primo o nel secondo periodo, si avranno diverse modalità di influssi comportamentali. Un modello svalutativo o iperprotettivo nel corso del secondo anno di vita potrà determinare un progressivo scarso impegno nelle attività di grandi movimenti a favore di attività ludiche sedentarie, di norma più accette in ambienti iperprotettivi. Nei casi più gravi il bambino tenderà a rifiutare le attività di gioco che impegnano la globalità somatica, con la conseguenza di riluttanza e paura ad affrontare ostacoli e a confrontarsi, come entità fisica, con il coetaneo verso il quale manterrà un rapporto di sudditanza.
L’effetto di svalutazione, o di iperprotezionismo che agisce con prevalenza nel periodo del terzo e quarto anno, in genere determina minori danni della forma precedente, in quanto il bambino ha potuto sperimentare le sue capacità e le sue abilità motorie nello spazio di conquista.
Il rapporto che si instaura col coetaneo si basa sulla diffidenza, su uno scarso impegno diretto di opposizione e sul prevalere di spostamenti temporali e scelte propizie per agire i propri desideri. Mentre nel primo caso dominano l’insicurezza motoria nell’agire e la tendenza alla dipendenza dall’adulto o dal coetaneo, nel secondo caso dominerà la difficoltà di rapporti, sottolineata da una continua altalena di titubanze, di rinvii a momenti considerati più favorevoli e di esplosioni reattive di aggressività non più contenuta.
In questa sindrome spesso il comportamento del bambino che subisce in modo consistente l’effetto dei modelli, si stabilizza dopo i 4 anni: dipendenza dall’adulto, scarso impegno nelle attività motorie che richiedono la globalità somatica, emotività ed affettività infantili, facile sudditanza nei confronti dei compagni, tendenza ad instaurare rapporti con bambini di età inferiore alla propria, uso di schemi motori infantili, carente autonomia, atteggiamenti di ritiro in situazioni impegnative e soprattutto scarso valore del sé.
Nel campione di 1092 casi dei miei pazienti ho individuato 154 bambini (14,10%) affetti da tale sindrome. Considerato che molti casi con le caratteristiche sopra elencate spesso non vengono segnalati ai sanitari, giustificando il comportamento sostenuto dal tipo di personalità, il 14,10% appare una incidenza decisamente importante tra i casi segnalati. Determinati disturbi vengono spesso sottovalutati se il bambino non presenta manifestazioni considerate eccessive dai genitori. È infatti frequente da parte dei genitori avere atteggiamenti iperprotettivi e una carente preoccupazione per il comportamento che viene in genere non significativo di patologia.
Misés (1973) ha affrontato una serie di disturbi nei quali il principio di base consta nella mancata omogeneità di sviluppo dei settori motorio, cognitivo e relazionale che si traduce nella disarmonia della modalità d’essere in rapporto alle situazioni. La caratteristica è la presenza di Io a mosaico che condiziona l’alternarsi del comportamento da apparentemente normale a patologico a seguito di situazioni ambientali che richiedono particolare impegno emotivo-affettivo o cognitivo o motorio.
Il comportamento patologico sarebbe l’espressione di una fuga di significato difensivo per evitare un’angoscia per un rapporto con l’altro (o con una situazione) vissuto inadeguato, invasivo o decisamente distruttivo. L’Io è fragile e incapace di un comportamento adeguato che, condizionato da problematiche evolutive non risolte, instaura meccanismi difensivi patologici di fronte a situazioni vissute al di sopra delle proprie capacità di adattamento.
Misés ha proposto il riconoscimento della disarmonia evolutiva con tre variabili: disarmonia di tipo psicotico, disarmonia di tipo cognitivo e disarmonia di tipo nevrotico. Dopo un interesse per questa sindrome, durato circa 10 anni, i diversi ricercatori hanno iniziato a non riconoscere più una specificità diagnostica, riconoscendo il comportamento dell’Io a mosaico in diverse patologie.
Nel 1984 le riflessioni su tali dati e una ricerca catamnestica sulle cartelle dei miei pazienti, mi avevano permesso il riconoscimento di due forme: Sindrome da scarsa fiducia del sé[2] con caratteristiche costanti e stabili di sfiducia nelle proprie potenzialità e una Sindrome disarmonica di scarsa fiducia del sé che presenta le caratteristiche sintomatologiche similari solo in determinati momenti di affronto di difficoltà particolarmente impegnative. La seconda presenta comportamenti avvicinabili alla norma in alcuni momenti, mentre in altri mette in atto comportamenti regressivi connotati da scarsa fiducia nelle proprie potenzialità in confronto alle reali capacità.
La sintomatologia è simile a quella della sindrome da scarso sé, ma presenta connotazioni più marcate sottolineate anche dall’alternanza del comportamento, fatto che risulta poco accettabile nell’ambito familiare e scolare.
Proseguendo gli studi si è notata la difficoltà di differenziare le due variabili, pertanto la diagnosi di disarmonia ha avuto breve durata. Permane invece la diagnosi di sindrome da scarso sé che aiuta a riconoscer la sua tipologia in bambini non diagnosticati e considerati solo timidi.
Per maggiore chiarezza citerò un esempio.
Una bambina di otto anni viene segnalata per difficoltà nell’apprendimento scolastico, scarsa organizzazione spazio-temporale e motricità globale scadente ed infantile. A scuola presenta rapporti superficiali con i compagni, ha imparato a leggere e a scrivere anche se ancora con grossi errori grammaticali, il disegno è discretamente strutturato, lo sviluppo psicomotorio è stato normale nei primi anni di vita. All’esame neuromotorio evidenzia un netto impaccio motorio globale in assenza di una tipologia patologica specifica dell’atto motorio, scarsa organizzazione spazio-temporale nelle produzioni scolastiche, buona la coordinazione oculo-manuale, il tratto grafico si presenta sicuro e ben controllato. A casa e con le amiche del cortile il comportamento non traduceva le sue difficoltà.
Nelle prime sedute di terapia psicomotoria la bambina, entrata nella stanza, cammina rasente i muri, nell’esplorazione dell’ambiente usa tragitti preferenziali, a volte passa dalla deambulazione eretta alla marcia a carponi, usa solo oggetti noti, spesso comunica con monologhi di tipo collettivo, presenta frequenti richieste di rassicurazioni alla terapista, l’attività con gli oggetti è scarsamente strutturata, prevalentemente manipolatoria e poco creativa.
Questo comportamento all’inizio della terapia evidenzia una regressione rapportabile ad una fase evolutiva di non più di due anni, ed in tal modo la bambina pone alla terapista il suo fondamentale problema costituito da una notevole sfiducia del sé che limita le sue reali capacità evolutive.
A partire dalla settima seduta, la bambina inizia a vivere il piacere del movimento e soprattutto dei grossi movimenti corporei, dimostrando una potenzialità evolutiva ed una capacità proprio in quei settori che si manifestarono più compromessi. Dopo 8 mesi di terapia psicomotoria alla frequenza di due sedute alla settimana, il sostegno mensile ai genitori e la collaborazione con le figure scolastiche, la bambina risolve positivamente i suoi problemi, migliora nettamente la resa scolastica e inizia a trattenere normali rapporti con le compagne e i compagni.
In questo caso vi era una regressione ad una precoce fase evolutiva, venivano in parte abbandonate le modalità comportamentali acquisite e potenzialmente usufruibili, lo spazio ed il tempo venivano vissuti come li può vivere un bambino dal 12° al 18° mese, quando si trova nella fase della conquista dello spazio.
La profonda insicurezza della bambina si manifestava nel setting terapeutico con tutta l’espressività tipica della fase evolutiva in cui normalmente il bambino lotta per la conquista dello spazio e per le sue affermazioni come individuo alla ricerca dell’indipendenza e della autonomia. In queste sedute, lo spazio veniva vissuto parzialmente in quanto il suo totale coinvolgimento avrebbe potuto produrre disorientamento e frustrazione a causa dell’insicurezza per il nuovo ambiente.
Poter ritornare a questa fase evolutiva, per la bambina ha significato riprendere il problema dal punto di partenza, dove qualcosa si era incrinato e non aveva permesso una normale evoluzione. Da questo punto, forte delle capacità già acquisite, ha potuto ricostruire la fiducia nelle sue possibilità e vivere con soddisfazione la gioia del movimento che prima le era negata.
Con la terapia psicomotoria, in diversi casi similari, abbiamo constatato una rapida risoluzione della problematica, favorita dalla possibilità di poter vivere a fondo quella fase evolutiva non completata che se non viene conclusa blocca o ritarda le potenzialità evolutive del bambino.
I sintomi della sindrome sono: un’attività motoria espressa con schemi infantili, un deficit di controllo inibitorio di diffusione dello stimolo alla globalità somatica, una costante scarsa fiducia nelle proprie potenzialità, un’alternanza di atteggiamenti onnipotenti (specie negli ambiti protetti) a manifestazioni rinunciatarie, una ridotta autonomia, tendenza alla sudditanza nei confronti dei compagni, facile ansia quando deve esposi nelle attività comunitarie. Costante, con esclusione dei casi con lesioni organiche, è la presenza di modelli parentali inadeguati alle necessità evolutive del bambino.
Intervento
L’intervento elettivo e più efficace risulta essere lìintervento psicomotorio con l’obiettivo di permettere e favorire al bambino il piacere del movimento, la conquista e l’affermazione del Sé in giusto rapporto con le sue reali capacità. Indispensabile sarà anche il supporto delle figure parentali per aiutarle a risolvere impostazioni psico-educative scorrette, permettere e favorire il processo di autonoma, la responsabilizzazione e l’autocontrollo dell’emotività. Necessaria la collaborazione con le insegnanti per la comprensione del problema e per procedere con un obiettivo comune.
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[1] Desritta per la prima volta da: R.C.Russo, La diagnosi in psicomotricità, Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1986;
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[2] Russo R.C. La diagnosi in psicomotricità. Casa Ed. Ambrosiana, Milano, 1986.
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