Roberto Carlo Russo
Tratto da R.C.Russo, Psicomotricità. Nuovo approccio valutativo e intervento globale: terapia psicomotoria, sostegno genitoriale, collaborazione sociale. Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 2018, pp. 7-15.
Molti antropologi ritengono che la famiglia nucleare (madre, padre e figli) costituisca la microunità sociale che rappresenta essenzialmente tutto il mondo del bambino piccolo e ponte fondamentale di collegamento alla società allargata. Murdock (1949), in uno studio di 250 società di culture diverse, ha riscontrato la presenza della famiglia nucleare alla quale attribuisce le seguenti funzioni: l’attività eterosessuale, la riproduzione, la trasmissione culturale, l’istruzione, il sostegno economico.
Nelle moderne strutture sociali la famiglia, pur conservando le caratteristiche funzionali originarie, ha demandato in parte ad organizzazioni sociali l’insegnamento, la cultura e gli usi e costumi della società d’appartenenza.
La modifica del ruolo della donna nella società, prima artefice e gestore della funzione familiare, ha cambiato la famiglia: il suo inserimento nel mondo del lavoro ha determinato la necessità di far conciliare le mansioni di casalinga con quelle del lavoro esterno. La duplice funzione ha portato al cambiamento dell’organizzazione e della funzionalità familiare con la diminuzione del numero dei figli, la necessità di collaborazione del marito alla conduzione familiare, la tendenza alla parità dei significati dei ruoli, la più facile e frequente precarietà del matrimonio, il costituirsi di nuovi nuclei familiari, la maggiore indipendenza della donna dalla famiglia per il valore che assume la sua partecipazione al mondo del lavoro e l’inevitabile indebolimento nel suo ruolo familiare (Tessarolo, 1993; Cucinato e Tessarolo, 1993).
Ora il modello tradizionale di famiglia si delinea verso nuove forme di organizzazioni temporali e spaziali, con la necessità di aiuto nell’accudimento della prole da parte di altre persone (nonni, baby sitter, asili nido) e il bisogno dei genitori di compensare la carenza di tempo dedicato ai figli con atteggiamenti di iperprotezionismo, eccesso di regali e carenza di regole.
La condizione biologica e psicologica della donna durante la gravidanza subisce un’importante cambiamento che porta alla valorizzazione dell’intimo rapporto privilegiato e simbiotico con il nascituro (Mahler, Pine, Bergman,1975; Simeti, 2006). Questa condizione, necessaria per preparare quel complesso di atteggiamenti definito la costellazione materna (Stern,1995), viene in parte indebolita dai problemi e dall’attività sociale e lavorativa della donna.
Il miglioramento delle condizioni economiche ha notevolmente contribuito a queste modifiche che, per contro, hanno richiesto un maggiore impegno produttivo e una variazione sostanziale nelle modalità educative. Il maggiore impegno rivolto al raggiungimento della società del benessere ha portato un notevole aumento e arricchimento di nuovi stimoli evolutivi con la conseguenza di una precoce evoluzione dell’infanzia, ma ha anche determinato una modalità di vita infantile più frenetica e spesso caotica per le problematiche connesse al ritmo di vita del nucleo familiare.
Il bambino riesce in parte ad adeguarsi, non senza problemi e disturbi, al rapido evolvere delle culture sociali, delle variegate miscele di usi e costumi appartenenti a società diverse, ma le preoccupazioni per le crisi evolutive dei figli, i nuovi interessi dei bambini e il loro rapido apprendimento delle nuove esperienze, determina una difficoltà nei genitori a comprendere ed a integrarsi ai rapidi mutamenti sociali, generando con facilità uno squilibrio di rapporto e comprensione generazionale con i figli.
I dati epidemiologici di diversi autori hanno evidenziato l’aumento negli ultimi decenni del rischio psicopatologico nell’infanzia con una incidenza di disturbi che può arrivare al 25% e oltre a seconda dell’ambiente culturale ed economico (Zahner e altri, 1992; Levi e Penge, 1996).
Le figure parentali espletano un’azione determinante sulla strutturazione della personalità del bambino, impostando le prime fondamentali basi del comportamento e partecipando poi attivamente all’impostazione delle regole sociali. Pur considerando che l’effetto dei diversi modelli dipenderà anche dalle caratteristiche biologiche del bambino, l’analisi dei modelli familiari risulta particolarmente importante per comprendere le dinamiche evolutive che sottendono lo strutturarsi e l’evolvere del comportamento infantile.
La costituzione di un nuovo nucleo richiederà un confronto tra i membri della coppia e la necessità di integrazione e adattamento nella nuova vita in comune. La nascita dei figli porrà nuovi compiti e necessità di scelte di fronte ai bisogni a alle richieste del bambino.
Nell’iter evolutivo il bambino, forte per le nuove acquisizioni, premerà per una propria autonomia che si modificherà di pari passo alle nuove conquiste e richiederà ai modelli ulteriori adattamenti, frutto di confronti tra i due partner e spesso anche con altre figure adulte. In tal modo i genitori si adattano alle nuove esigenze determinate dalle pressanti richieste di progressiva autonomia del bambino. I modelli non potranno essere statici, ma dovranno di continuo plasmarsi sulle necessità evolutive del bambino. Questo adattamento sarà frutto di un processo di formazione continuo delle figure genitoriali, supportato dalle valutazioni dei risultati educativi e dalla presa di coscienza della mutabilità delle forze in gioco, fattori che dovranno determinare apprendimento e la spinta al continuo rinnovamento dei modelli educativi.
Il processo evolutivo richiederà ai genitori una sostanziale accettazione delle modifiche, fatto che potrebbe determinare situazioni conflittuali tra i modelli e riflessi sulla nuova spinta evolutiva. Ad esempio, i conflitti tra una madre iperprotettiva ed il proprio figlio, manifesteranno il loro effetto negativo nel secondo anno e successivi, quando il bambino inizia a prendere distanza dall’adulto nella esplorazione dell’ambiente e nelle attività cognitive; il suo voler fare esperienze in modo autonomo, viene prevaricato dalla madre iperprotettiva con una costante risoluzione anticipatoria delle difficoltà o con la strategia di precludere la possibilità di conoscere l’esistenza degli ostacoli; in tal modo la madre contrasterà le necessità di sperimentazione del bambino, ostacolando il processo di sviluppo e distorcendo il proprio modello nei confronti della richiesta ontogenetica.
Situazioni particolarmente impegnative per la famiglia o per uno dei genitori potrebbero produrre mutamenti tali da determinare effetti di disturbo alle necessità evolutive. Periodi di stati d’ansia e forme depressive dei genitori e in particolare della madre costituiscono le cause più frequenti di questi mutamenti.
Alla nascita di altri figli i genitori affrontano l’impegno con maggiore naturalezza per le esperienze fatte col primogenito, ma nel contempo devono sostenere un nuovo carico di responsabilità e gli adattamenti richiesti determineranno modelli educativi modificati rispetto a quelli del primogenito.
Questo quadro di dinamiche intrecciantesi potrà essere ulteriormente modellato da esperienze particolarmente rilevanti del nucleo familiare e/o dei relativi componenti (cambi di domicilio, modifiche o perdite del lavoro, modifiche dell’assetto familiare, perdita o grave patologia di un componente, ecc..), che avranno un riflesso sulle caratteristiche dei modelli e quindi una variazione dell’impatto dei medesimi sul bambino.
Altri fattori che influenzeranno la struttura della personalità del bambino sono: essere unicogenito, la posizione come ordine di nascita, la differenza di età con i figli precedenti o successivi, la distribuzione dei maschi e delle femmine; tali fattori, pur ponendo influenze prevedibili (gelosie, protezionismi, dipendenze, atteggiamenti di controllo e supremazia rispetto ai fratelli minori, ecc..), potrebbero dare risultati variabili a seconda del complesso gioco di dinamiche che si strutturano tra i componenti del nucleo.
Secondo Adler (1947) il primogenito alla nascita del secondo subisce un trauma di detronizzazione da parte della madre da cui prenderà distanze per avvicinarsi di più al padre ed assumere comportamenti più responsabili ed autonomi. Tale situazione può avere effetti più marcati quando la distanza tra i due fratelli è solo di 12-24 mesi, quando il primogenito ha superato i tre anni l’effetto di detronizzazione è meno evidente in quanto ora il bambino è più autonomo e proiettato ad altre conquiste e in particolare alla comunicazione attiva con i coetanei nella Scuola dell’Infanzia. L’atteggiamento della madre nei confronti dei due figli avrà molta rilevanza nel modulare il problema.
Corman (1971) afferma che, se la distanza tra i due figli è inferiore ai 18 mesi, si manifestano facilmente crisi di aggressività del primo in una fase iniziale, a cui potrà facilmente seguire un compromesso, trovando nell’altro figlio un compagno di giochi.
Molti autori si sono dedicati a questi studi e tra essi possiamo citare Harris (1987), Hilton (1967), Lasko (1954), Mac Arthur (1956), Sears (1950), Wile e Davis (1941), alle cui opere rimandiamo il lettore.
Anche al riguardo dello spazio abitativo e relative influenze, riscontriamo una ricca messe di ricerche. Scrive la Duse (1977) “Alla denuncia sociale della carenza quantitativa di alloggi, si va aggiungendo quella psicologica della inadeguatezza, della patologia, del rischio di disadattamento, in cui soluzioni improvvisate possono incappare. Infatti, la perdita irreversibile del contatto con la natura, lo scardinamento della famiglia patriarcale, la spaccatura tra vita privata e vita lavorativa, l’alienazione dei rapporti interpersonali per l’alta mobilità dei nuclei familiari, sono fenomeni sociali, che spiegano l’emergenza di nuove funzioni attribuite all’alloggio, cui si chiede una risposta compensativa ai bisogni di sicurezza, libertà, intimità e socialità, continuamente frustrati dal mondo esterno. L’ipotesi dominante è che il cambiamento del contesto abbia portato ad un impoverimento della vita interiore e sociale degli individui e che il bambino, in particolare, per la sua costituzionale vulnerabilità, sia il soggetto che maggiormente risente di tale depauperamento.”
Sivadon (1965) afferma che la nozione di spazio nell’adulto si costituisce progressivamente nell’iter evolutivo ed è fondamentalmente influenzata dai vissuti spaziali dei primi anni di vita; nelle fasi successive il bambino, come l’adulto, abbisogna sempre più di spazi aperti e l’autore sottolinea che la definizione e possesso di un proprio territorio è un principio primario così come lo è per l’animale.
Personalmente aggiungo che dal primitivo spazio materno, di chiaro significato rassicurante e di dipendenza (consolidato nel rapporto sé-madre), il bambino si espande verso uno spazio di conquista, di significato autonomo di confronto e scontro per il possesso e la difesa nei confronti degli altri (proiezione del sé nel sociale). Questi due spazi vengono agiti e vissuti separatamente per poi arrivare ad essere integrati in un unico spazio reale e come tale percepito, ma ancora e sempre impregnato dai significati dei due primitivi aspetti conosciuti.
Anche nello spazio abitativo il bambino cercherà questi due spazi primitivi, dove, all’interno del primo vivrà e confermerà l’amore reciproco con l’altro, mentre all’interno del secondo esprimerà i suoi desideri e progetti in nuove attività cognitive confrontandosi con l’organizzazione e le regole. Per il secondo obiettivo le mura familiari sono troppo strette e limitanti e lo spazio scelto diventerà presto quello esterno alla famiglia.
Nei grandi agglomerati urbani, troppo spesso non sufficientemente dotati di spazi aperti e naturali, si viene frequentemente a coartare e inibire questa fondamentale ed indispensabile necessità evolutiva. Lo spazio aperto rischia di diventare uno spazio molto limitato in cui tutto va stretto ed i progetti diventano poco o nulla realizzabili, con la conseguenza di caricamento d’ansia e aggressività o, peggio ancora, di ritiro e depressione.
Mitscherlich (1968) scrive: “La salute psichica del bambino è determinata in primo luogo dalle persone che entrano in contatto con lui, ma anche dalla possibilità di avere un proprio territorio per proprie attività. Se in questo territorio adulti e bambini entrano in collisione, le conseguenze permanenti saranno i bambini a sopportarle“.
Al di sopra del complesso gioco dei fattori sopra esposti, pur non sottovalutandone l’importanza, va considerato, come fattore influsso prioritario nella futura evoluzione del bambino, il desiderio dei genitori di procreare un figlio e le relative aspettative. Il desiderio del figlio, ricercato e atteso con amore, preparerà un terreno favorevole all’accettazione delle modifiche di vita imposte da tale evento; per contro il figlio non intenzionalmente ricercato si porrà più facilmente come problema nella coppia, con possibili rivalse di un partner sull’altro e possibili palesi o mascherati atteggiamenti di rifiuto o, per quanto meno, di rassegnazione.
Tuttavia permane la possibilità che anche il figlio non ricercato venga successivamente accettato con gioia e con amore. Sia in un caso o nell’altro, esiste sempre la possibilità della contraddizione tra il figlio aspettato ed il figlio arrivato o, come meglio dire, tra il figlio immaginato ed il figlio reale.
Sicuramente, come riscontrato da numerosi autori, il sesso del nascituro gioca un ruolo fondamentale nella dinamica attesa-realtà-aspettativa futura e determinerà un vissuto diverso sia sul singolo genitore, a seconda della propria aspettativa, sia nelle dinamiche relazionali della coppia.
Tali problematiche hanno stimolato numerose e feconde ricerche decenni precedenti. Innanzi tutto va considerata la forza pregnante del fattore culturale che attribuisce diversa importanza e funzione ai due sessi. Giannini Belotti (1974)nel suo libro “Dalla parte delle bambine” scrive: “Il maschio è desiderato per il prestigio che la sua nascita proietta sulla famiglia, per l’autorità che andrà all’interno di essa e fuori, per quello che realizzerà; la femmina è desiderata -se lo è- in base ad una scelta di valori per così dire di comodo: le femmine sono più affettuose, sentono più la gratitudine, sono carine e civettuole, dà soddisfazione vestirle, fanno compagnia in casa, aiutano nelle faccende domestiche“.
Freud (1913) afferma che vi è un diverso rapporto della madre nei confronti di un figlio o di una figlia e che il rapporto con il figlio maschio dà alla madre la massima soddisfazione, la relazione più perfetta e libera da ambivalenze.
Sicuramente il sesso del figlio assume notevole importanza nei genitori per il processo d’identificazione sessuale che già alla nascita inizia a svolgere un effetto condizionante.
Depetro (1977) ha svolto una indagine, su oltre un centinaio di genitori, sulle aspettative del sesso dei figli; ne riportiamo una parte relativa all’analisi dei risultati.
“Molte madri intervistate – e solo una piccola percentuale di padri – hanno ammesso di avere avuto delle preferenze circa il sesso del nascituro. Le preferenze non sono state tutte per il sesso maschile, ma questo prevale senz’altro su quello femminile. I padri, quando hanno ammesso di avere avuto delle preferenze, hanno mostrato quasi tutti una chiara preferenza per il figlio maschio, soprattutto se l’atteso era il primogenito o se non avevano già avuto il maschio. Le motivazioni addotte sono state facilmente prevedibili: la soddisfazione per il prestigio sociale che procura; la necessità di avere un aiuto valido, soprattutto se v’è un’attività da sostenere e sviluppare; la considerazione che il maschio è il naturale continuatore della famiglia, quando c’è un nome e una proprietà da conservare; la convinzione che il maschio sia un più naturale interlocutore e più facilmente educabile; la persuasione che un figlio riuscirà sempre, e comunque più facilmente della figlia, ad inserirsi nella società, poiché questa, nonostante i mutamenti realizzati, è ancora strutturata in senso maschile; il desiderio di onorare il padre, mettendone il nome al figlio; …….
L’esigenza ed il desiderio profondo del maschio sono in più di un caso l’unica spiegazione di una figliolanza numerosa e tutta o quasi tutta femminile. Il desiderio e l’attesa di una figlia non è apparso mai primario nei padri, ma sempre secondario, dopo che fosse stata soddisfatta l’attesa del maschio. In tal caso i motivi sono stati l’esigenza di avere una coppia assortita o le gratificazioni che dona la femmina con la sua dolcezza ed affettuosità”…….
Diverso e più vario si è mostrato il comportamento delle madri. Più di una ha affermato di non avere avuto alcuna preferenza, di essere stata indifferente al sesso del nascituro. Problemi più gravi, quali l’incertezza per la prima gravidanza, le prospettive concrete di un parto pericoloso, i timori per la sanità e perfezione fisica del figlio, ovvero gravi angustie familiari, non hanno lasciato spazio alle preferenze: era il figlio come tale o la sua sanità a creare un problema, e non il suo sesso. Le attese delle madri, quando ci sono state, sono apparse equamente distribuite fra i due sessi, ma con una leggera preferenza per le femmine. Le motivazioni delle preferenze per il maschio sono state o il volere procurare una soddisfazione al marito ed ai parenti, che si sapeva o pensava in attesa del maschio, o il prestigio di essere considerate capaci di dare un maschio, o la convinzione della supremazia maschile in opposizione alle condizioni di subordinazione della donna, con tutte le conseguenze familiari e sociali, o la minore problematica dell’educazione di un maschio.
Le preferenze di alcune madri sono state spiegate dalle stesse interessate come derivanti dall’esperienze vissute nelle famiglie d’origine. Il ricordo dell’esperienza amara, o magari solo poco piacevole, del proprio ruolo secondario o chiaramente subordinato al fratello, dei compiti di servizio domestico assolti fin dagli anni della fanciullezza, ha indotto qualche madre a non volere alcuna figlia, perché non ripetesse la stessa esperienza negativa. Altre, invece, hanno affermato di avere desiderato solo figlie in reazione alla supremazia che il figlio maschio avrebbe goduto e godeva nel parentado“.
Depetro ha inoltre analizzato le principali dinamiche genitoriali nei casi di delusione delle aspettative del sesso, ed ha riconosciuto tre gruppi di atteggiamenti:
- formazioni reattive mascheranti un profondo rifiuto o carica aggressiva con atteggiamenti di iperprotezionismo marcato e a volte plateale;
- atteggiamenti di negazione fantasmatica del sesso che si concretizzano nel tentativo d’impostare comportamenti condizionanti verso l’identità sessuale desiderata;
- atteggiamenti di svalutazione verso il figlio che ha deluso l’aspettativa.
Di certo non è solo l’aspettativa del sesso a rendere il bambino accettato o deludente, tanti altri fattori, troppo spesso, agiscono come condizionamento negativo nel processo evolutivo dei figli.
È di frequente riscontro nei genitori il desiderio di trasferire sui figli le proprie ambizioni, soprattutto se le medesime sono state deluse nella propria vita. Tali atteggiamenti facilmente de-terminano un impatto negativo con le caratteristiche biologiche del bambino nei primi anni e successivamente con le sue aspirazioni.
Trattata l’impostazione più generica dell’influsso dei modelli genitoriali, diventa ora indispensabile procedere ad una più approfondita analisi delle tipologie delle figure parentali che svolgono un ruolo educativo, ed in particolare a quelle dei genitori, non escludendo dalla valutazione quelle figure che di fatto svolgono, all’interno della famiglia, un ruolo educativo, quali: nonni, baby sitter, altre figure parentali e non. Tali dati saranno preziosi per la comprensione delle dinamiche relazionali del bambino sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare.
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